Il tema dello Ius culturae mi pare abbia a che vedere con la modalità con la quale in Italia le persone minorenni possono acquisire la cittadinanza, e da alcuni politici sembra associato (più o meno direttamente) all’estensione del voto ai minori di 18 anni (già che ci siamo).
Mi limiterei a considerare il tema dal punto di vista dell’acquisizione della cittadinanza.
Guardando alla proposta di legge presentata da Renata Polverini, se ben comprendo, questa prevede un modello di acquisizione della cittadinanza che passa attraverso la scuola. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia che hanno avuto continuativa residenza senza interruzioni fino al compimento delle scuole elementari (scuola primaria). Questo dovrebbe mettere in evidenza un tipo di cittadinanza identitaria che permette di identificarsi con una determinata comunità politica o culturale.
Una forma molto parziale di cittadinanza che identifica solo una parte della cittadinanza formale (i diritti che corrispondono a una persona) e che non garantisce la cittadinanza materiale intesa come effettiva capacità di azionare i diritti da parte della persona. Un po’ come dire che non basta materialmente, a nessuno, avere superato le elementari per essere cittadino.
La domanda che mi pongo è quanto possa essere importante per la costruzione dell’identità di un bambino sentirsi in partenza “come gli altri” suoi coetanei o “diverso”. Quale sia il ruolo dello Stato in questo processo.
Potrebbe essere “troppo” pensare a uno Ius soli puro che preveda che chi nasce in un territorio di un certo Stato ottenga automaticamente la cittadinanza? Così, giusto per pensare a uno Stato che provi di fatto a garantire a tutti i bambini le stesse condizioni di partenza. Come dice la Costituzione, di cercare di rimuovere tutti gli ostacoli.
A pensarci bene mi sentirei più felicemente cittadino.