La seconda sezione della corte d'Appello di Palermo ha dato ragione al boss di Brancaccio, al fratello Benedetto, al figlio Michele e alla madre Vincenza Quartaro. I quattro, assistiti dall'avvocato Federico Vianelli, si erano costituiti parte civile contro il proscioglimento di Gaetano Grado, accusato di essere il killer di Michele Graviano, padre di Giuseppe, ucciso il 7 gennaio del 1982 in piena guerra di mafia
È una sentenza inedita sia per la decisione – probabilmente senza precedenti – ma anche per i protagonisti: la famiglia Graviano da una parte, il pentito Gaetano Grado dall’altra. Contrariamente alle aspettative è il collaboratore di giustizia a essere sul banco degli accusati, con i Graviano che si sono costituiti parte civile. La seconda sezione della corte d’Appello di Palermo ha dato ragione al boss di Brancaccio, al fratello Benedetto, al figlio Michele e alla madre Vincenza Quartaro. I quattro, assistiti dall’avvocato Federico Vianelli, si erano costituiti parte civile contro il proscioglimento di Gaetano Grado, accusato di essere il killer di Michele Graviano, padre di Giuseppe, ucciso il 7 gennaio del 1982 in piena guerra di mafia.
Grado, che ora è un collaboratore di giustizia, dovrà risarcire i Graviano: il valore del risarcimento dovrà essere quantificato da un altro processo. Il pentito, però, dovrà pagare le provvisionali immediatamente esecutive: 35mila euro a testa a ai figli e alla moglie di Michele Graviano, cinquemila al nipote. La sentenza certifica quindi quanto sostenuto dall’avvocato Vianelli: l’omicidio è imprescrittibile anche quando l’assassino gode dell’attenuante speciale previsto per i collaboratori di giustizia. La decisione dei giudici palermitani, quindi, influenzerà anche altri processi. Sul piano penale Grado era stato prescritto, mentre l’appello dei Graviano vale per fini civili.
E qui si arriva al secondo motivo per cui la sentenza è importante: a costituirsi parte civile è Giuseppe Graviano, il boss condannato all’ergastolo per le stragi del 1992 e 1993 e anche per l’omicidio di don Pino Puglisi. Graviano non si è mai pentito ma ha deciso di seguire le leggi per avere ragione sul presunto assassino del padre: una decisione inedita per i boss di Cosa nostra. Non hanno seguito la scelta di Giuseppe il fratello Filippo, all’ergastolo per le stragi pure lui, e la sorella Nunzia. L’omicidio di Michele Graviano matura all’interno della guerra di mafia: Grado faceva parte della fazione dei palermitani, sterminati ai primi anni ’80. I Graviano, invece, avevano scelto di stare dalla parte dei corleonesi di Totò Riina: per questo motivo i palermitani lo uccisero.