Per i cittadini di 13 Paesi, individuati come “sicuri”, che chiedono protezione internazionale in Italia sarà “invertito l’onere della prova”. Questo vuol dire che il migrante dovrà dimostrare di essere in pericolo, portando lui le prove necessarie affinché la sua domanda venga accolta. In questo modo, spiegano il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e degli Esteri, Luigi Di Maio, che venerdì hanno presentato il nuovo decreto Rimpatri Sicuri durante una conferenza stampa alla Farnesina, “le misure per stabilire se un migrante può stare in Italia (necessiteranno di un tempo che passerà) da due anni a 4 mesi“.
Un decreto, questo, dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che “non urla ma fa i fatti” e si concentra sui rimpatri. Un aspetto su quale “negli ultimi quattordici mesi – cioè quando Salvini era ministro dell’Interno – è stato tutto fermo”, quindi “siamo ancora all’anno zero”. Inoltre, i due ministri hanno dichiarato che la redistribuzione non è “la soluzione definitiva” e bisogna “fermare le partenze“.
Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sottolineato l’aumento delle domande di protezione internazionale pendenti nei tribunali italiani, arrivate a superare le 70mila nel primo semestre del 2019. I rimpatri forzati invece, ha spiegato la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica a Milano “sono stati complessivamente 6.514 nel 2017, 6.820 nel 2018 e 5.261 nel 2019. I rimpatri volontari assistiti – ha aggiunto – erano 869 nel 2017, 1.161 nel 2018 e 200 nel 2019″.
Con questo decreto, ha detto Bonafede, “si dimezzano i i tempi per l’esame delle domande. Naturalmente – ha continuato – ci sarà una valutazione caso per caso ma sarà diverso il meccanismo dell’onere della prova, ossia non ci sono i presupposti per la protezione internazionale in mancanza di prova contraria. Tutto il sistema sarà più semplice e più celere”. E visto il cambio di questo meccanismo, ha detto Di Maio, “non ci sono oneri di spesa”.
Il decreto prevede così di accorciare i tempi dell’istruttoria per chi proviene da Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina. Paesi, spiega,”che abbiamo individuato dopo il lavoro dei nostri ministeri”. Ma solo con alcuni di questi, come la Tunisia, l’Italia ha stipulato e ratificato un accordo sui rimpatri.
Questa lista, spiegano, “potrà essere aggiornata in seguito”. Per completare gli accordi, ha detto ancora, sarà fondamentale il ruolo della cooperazione allo sviluppo, per i cui progetti è previsto il “fondo rimpatri, che può arrivare fino a 50 milioni di euro” mentre “oggi dispone di cifre irrisorie, 2-4 milioni di euro”. Il capo politico dei 5 Stelle ha poi aggiunto che nelle prossime settimane andrà personalmente “in alcuni di questi Paesi per riuscire ad accelerare le procedure di rimpatrio”. Tra questi anche Marocco e Tunisia. E per fermare le partenze, oltre alla cooperazione e ai meccanismi di rimpatrio, è fondamentale “una grande azione diplomatica che punta a stabilizzare la Libia“.
Di Maio ha precisato che si tratta solo del “primo step del nostro piano per i rimpatri sicuri” e che non intende essere in contrapposizione col decreto Sicurezza, sul quale “recepiremo le osservazioni del presidente della Repubblica”. Per Bonafede il decreto “dà alla giustizia italiana uno strumento importante” anche a fronte dell’aumento delle domande di protezione internazionale pendenti nei tribunali italiani. “Nel 2016 i procedimenti nelle sezioni specializzate dei tribunali erano 47 mila – ha detto – nel 2017 sono state 41.800, sono diventate 48.952 nel 2018, per arrivare a oltre 70 mila nel 2019”. Quanto ai procedimenti definiti ha ricordato che “nel 2016 sono stati 14.290 e nel 2018 41.238”.