+++ ATTENZIONE, POCHI SPOILER MA BUONI +++
Un uomo triste e profondamente danneggiato, intento a dipingersi un sorriso sul volto rigato dalle lacrime.
Sullo sfondo una città cupa e in tumulto fa quello che chiunque altro ha sempre fatto: lo ignora.
Così ha inizio il Joker di Todd Phillips, ultimo e forse definitivo ritratto di un personaggio che non è soltanto l’inquietante nemesi a fumetti di Batman, ma uno dei massimi antagonisti della cultura pop, sia per la sua iconografia pittoresca che per le numerose (e quasi tutte brillanti) interpretazioni che di lui sono state date negli anni, dalla carta stampata al grande schermo.
Con la vittoria del Leone d’oro a Venezia della pellicola interpretata da Joaquin Phoenix, il villain della DC Comics ha probabilmente raggiunto la consacrazione definitiva quale maschera del cinema moderno.
Arthur Fleck è un clown che vorrebbe fare il comico, ma ha un grave disturbo mentale che lo costringe ad esibire una risata isterica proprio quando è al picco della sofferenza. Arthur Fleck è un reietto e soprattutto un narratore inaffidabile, condannato al dolore e all’emarginazione dal destino, ma anche da una società che ha perso definitivamente l’empatia e, con essa, la speranza.
“L’aspetto più buffo dell’avere una malattia mentale è che tutti pretendono che ti comporti come se non ce l’avessi”, scrive il protagonista sul suo diario nel corso di un primo atto del film in cui lo spettatore viene gettato insieme a lui una sequela di abusi psicologici, fisici e sociali da groppo alla gola. Man mano che le sue vicissitudini prendono ritmo, uno dei tanti figli abbandonati e poi dimenticati di Gotham scopre quanto la sua origine sia sconcertante e scarna rispetto al modo in cui le proiezioni di altre menti, forse disturbate quanto la sua, gliel’avevano narrata.
Nel gioco di illusioni, delusioni e colpi di scena, Phillips e Phoenix regalano uno studio sul personaggio che è anche un omaggio al cinema stesso, in particolare a quello di Martin Scorsese, con citazioni esplicite di Taxi Driver quanto, soprattutto, di ‘Re per una notte’, il cui protagonista Robert De Niro compare nel ruolo di un presentatore di talk show. Su un binario parallelo va in scena una critica alla società odierna, non così diversa da quella degli anni 80 in cui il film è ambientato. Degrado urbano, corruzione e iniquità sociale fanno esplodere la violenza in una comunità resa isterica dalle catene di montaggio arrugginite in cui è stata confinata (non casuale, a questo proposito, l’altra citazione filmica di Chaplin e dei suoi Tempi moderni).
Arthur Fleck si trasforma gradualmente in Joker perdendo la sua empatia e massacrando letteralmente i suoi punti di riferimento. La folla inferocita che lo innalza a idolo non è poi tanto diversa da lui: “La politica non c’entra”, dice davanti alle telecamere tanto agognate, quando finalmente raggiunge il suo posto dinanzi ad esse. L’assenza di empatia di Thomas Wayne, padre del futuro di Batman e qui ritratto per la prima volta come il ventre grasso e viziato della comunità, è simile a quella di chi non esita a indossare la maschera del clown omicida. In questo, Joker si rivela specchio affidabile delle conseguenze estreme a cui questa società può condurre: le sue azioni non sono tese a ristabilire una giustizia sociale perduta, quanto ad affermare sé stesso e la propria esistenza, restituendo il disagio provato in un bagno di sangue.
Come avviene per la separazione di un atomo dal suo nucleo, più la solitudine è piccola, inascoltata e disturbata, più la reazione sarà esplosiva, imprevedibile e, in questo caso, teatrale.
Con una serie di intuizioni fortunate, il film offre un’origine coerente e nuova per lo stesso Batman – qui ritratto come un Bruce Wayne ancora bambino e privo di battute -, costruendo mattone su mattone le premesse per una Gotham City impazzita, in cui un’escalation di sangue e maschere da clown porterà alla morte dei suoi genitori, rappresentanti illustri del privilegio che una parte della società vuole rovesciare. Diversamente dal Cavaliere Oscuro di Nolan, in questa linea narrativa non sarà l’Ordine portato in città da Batman a generare il Caos rappresentato da Joker, ma viceversa.
Il merito di questo film, tuttavia, non sta tanto nell’aver creato un cinecomic da Oscar, quanto nell’aver saputo raggiungere il suo picco di coerenza proprio con la narrazione inaffidabile del protagonista. Mettendo insieme i pezzi del puzzle, infatti, alla fine della pellicola non è davvero possibile stabilire se la storia è avvenuta “davvero”, o se Joker è solo il prodotto di una mente malata, che soltanto nei suoi corridoi sfocati è riuscita a raggiungere la sanguinosa affermazione di sé a cui lo spettatore ha assistito.