Secondo quanto affermato dai due ministri, chiunque arrivi in Italia e presenti una domanda di protezione internazionale dovrà, se cittadino di almeno uno di questi Stati, presentare prove concrete della violazione dei propri diritti: "A casa la loro vita è in pericolo"
L’onere della prova per i richiedenti asilo provenienti da 13 Paesi considerati “sicuri”. È questo il punto che ha suscitato maggiori proteste dopo la presentazione, durante una conferenza stampa alla Farnesina, del piano Rimpatri Sicuri da parte del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, e degli Esteri, Luigi Di Maio. E tra chi fa sentire la propria voce c’è Fabrizio Marrazzo, responsabile del contact center antiomofobia e antitransfobia Gay Help Line: “Il Decreto Rimpatri definisce sicuri anche paesi come Marocco, Tunisia, Algeria, Senegal, Ghana e Ucraina, quando invece i report delle organizzazioni sui diritti umani affermano la pericolosità di quei Paesi per le persone lesbiche, gay, bisex e trans – ha dichiarato – In particolare, l’Ucraina rientra nei paesi in cui le persone omosessuali e trans sono perseguitate, mentre gli altri rientrano tra gli oltre 70 paesi che ancora criminalizzano le persone omosessuali con pene detentive, ma anche persecuzioni sociali che li portano in alcuni casi alla morte“.
Secondo quanto affermato dai due ministri, in mancanza di un testo del decreto, chiunque arrivi in Italia e presenti una domanda di protezione internazionale dovrà, se cittadino di almeno un Paese tra Algeria, Marocco, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina, presentare prove concrete della violazione dei propri diritti. Diversamente, la domanda verrà respinta. Un modo, hanno dichiarato, per passare all’analisi delle richieste in tempi che passeranno dai due anni ai 4 mesi.
Si tratta però del meccanismo opposto a quello applicato fino a oggi nei casi di richiesta di protezione internazionale: un’eventuale bocciatura e, almeno sulla carta, il conseguente rimpatrio devono tenere conto anche dell’effettiva incolumità del soggetto in caso di ritorno a casa.
“Ogni anno, da tutta Italia, ci contattano al servizio Gay Help Line migranti che hanno avuto storie terribili proprio da quei Paesi che oggi vengono dichiarati sicuri – aggiunge Marrazzo – Ora, loro avranno l’onere della prova in tempi ristretti, rischiando il rimpatrio in Paesi dove la loro vita è in pericolo. Pertanto, vorremmo un incontro col Ministro Di Maio per chiedere che il decreto tenga conto delle persone lesbiche, gay, bisex e trans che scappano da Paesi che per loro non sono sicuri”.
Critiche alla proposta dei due ministri erano arrivate già venerdì dal direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, Mario Morcone, già capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno e capo di Gabinetto del ministro Marco Minniti. Il decreto “non serve a nulla, è solo comunicazione e apporta un nuovo restringimento dei diritti, in feroce continuità con il precedente ministro dell’Interno. Eppure si era parlato di governo della discontinuità”, ha dichiarato.
Morcone sostiene che l’obiettivo di aumentare i rimpatri con questa riforma sia solo propaganda, visto che per rispedire le persone nel Paese di origine servono accordi che, al momento, mancano per la maggior parte degli Stati indicati: “Senza nuovi accordi di riammissione, che sono sempre quattro (Tunisia, Marocco, Egitto e Nigeria) – spiega – il migrante per il quale viene dichiarata manifestamente infondata la domanda di asilo non potrà comunque essere rimpatriato e resterà in un limbo, considerato anche che dovrebbe essere trattenuto in uno dei Centri di permanenza per il rimpatrio che hanno solo poche centinaia di posti a disposizione”. Dunque, aggiunge, “si tratta solo di propaganda e da ex funzionario del ministero dell’Interno non sono affatto contento che il decreto sia passato con il concerto del ministro”.