I presidenti delle tre commissioni della Camera che conducono l’indagine di impeachment contro Donald Trump per il Kievgate hanno chiesto i documenti sulla vicenda anche al vicepresidente Mike Pence, dandogli tempo sino al 15 ottobre, e alla Casa Bianca, con limite di tempo massimo al 18 ottobre, visto che dall’amministrazione non è mai arrivata risposta alla lettera dello scorso 9 settembre . Le richieste arrivano dopo che il presidente, che continua a rivendicare pubblicamente il suo diritto a chiedere “aiuto esterno per le indagini su casi di corruzione”, secondo quanto scritto dal Washington Post aveva coinvolto più volte Pence nelle sue pressioni sul presidente ucraino Volodymr Zelensky per far indagare i Biden. Tutto mentre continuano a uscire nuovi particolari sulla vicenda: il New York Times, dopo aver riportato che Gordon D. Sondland, ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione europea, e Kurt D. Volker, ex inviato speciale Usa in Ucraina, hanno lavorato a una dichiarazione per il nuovo presidente ucraino in cui quest’ultimo si sarebbe impegnato in indagini riguardanti il candidato Dem alle elezioni 2020, è uscito rivelando che un secondo funzionario dell’intelligence, dopo la prima “talpa”, è pronto a sporgere denuncia formale e testimoniare al Congresso sui contatti con Kiev. Intanto, Trump ha dichiarato pubblicamente che sta riflettendo sulla possibilità di chiedere alla Cina di indagare sulla famiglia di Joe Biden.

Pence e Casa Bianca, poco più di 10 giorni per presentare i documenti
Il Wp scrive che il coinvolgimento di Pence nell’operazione di convincimento di Zelensky, è stato tutt’altro che marginale. Già a maggio, Trump gli aveva vietato di andare alla cerimonia di insediamento del neo presidente. A luglio, dopo la controversa telefonata la cui pubblicazione ha dato il via allo scandalo, The Donald aveva poi affidato al suo vice l’incarico di dire a Zelensky che gli aiuti Usa sarebbero rimasti congelati senza un’azione più aggressiva contro la corruzione in Ucraina, anche se Pence non è tra coloro, come invece ammesso dal segretario di Stato, Mike Pompeo, ad aver partecipato alla famosa chiamata tra i due presidenti. Lo ha fatto, però, il suo responsabile per la sicurezza nazionale. Lo staff di Pence nega che lui sia mai stato coinvolto nell’attività di pressione su Zelensky.

Sabato, poi, il Congresso ha chiesto anche alla Casa Bianca con una subpoena, un ordine giudiziario, tutti i documenti in loro possesso relativi al Kievgate già richiesti una prima volta, più informalmente, il 9 settembre scorso. “Ci rincresce profondamente che il presidente Trump abbia costretto noi e il Paese a questa posizione, ma le sue azioni non ci lasciano altra scelta che ricorrere al mandato”, hanno dichiarato i presidenti delle tre commissioni impegnate nel Kievgate (Intelligence, Esteri e Vigilanza), Adam Schiff, Eliot Engel e Elijah Cummings.

La portavoce della Casa Bianca, Stephanie Grisham, ha dichiarato che “la subponea non cambia nulla, si tratta solo di una altra richiesta di documenti, tempo sprecato, soldi dei contribuenti che dimostreranno come il presidente non abbia fatto nulla di sbagliato”.

Nyt: “Secondo funzionario dei servizi pronto a testimoniare sui contatti con Kiev”
Un secondo funzionario dell’intelligence, allarmato dai rapporti del presidente Donald Trump con l’Ucraina, sta valutando se presentare una denuncia formale e testimoniare al Congresso, secondo quanto scrive il New York Times che cita due persone informate sulla questione. Secondo il giornale, il funzionario avrebbe informazioni “più dirette” sugli eventi rispetto al primo testimone che ha portato all’apertura dell’indagine per impeachment. Il secondo funzionario è tra quelli ascoltati dall’ispettore generale dell’intelligence community, Michael Atkinson, per confermare le accuse della prima “talpa”, ha precisato una delle fonti.

Le pressioni: un discorso scritto e l’offerta di una visita di alto profilo
Secondo quanto scrive il Nyt, le pressioni americane sul neopresidente ucraino sono arrivate al punto che due diplomatici di Washington, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione europea, Gordon D. Sondland, e l’ex inviato speciale Usa in Ucraina, Kurt D. Volker, ad agosto hanno lavorato a una dichiarazione per Zelensky in cui quest’ultimo avrebbe dovuto annunciare l’avvio delle indagini sulla famiglia Biden. Un discorso che il presidente di Kiev, però, non ha mai pronunciato.

Le offerte nei suoi confronti, però, non sono mancate: oltre allo sblocco dell’assistenza militare, in cambio di un’inchiesta sui Biden a Zelensky era stato promesso anche un incontro di alto profilo a Washington. Lo si legge negli stralci della corrispondenza resi pubblici ieri sera dalla Camera dei rappresentanti dopo un’audizione fiume di dieci ore con Volker.

La mattina precedente alla telefonata del 25 luglio, l’ex inviato speciale in Ucraina aveva scritto: “Parlato con la Casa Bianca – supponendo che il Presidente Z convinca Trump che aprirà una inchiesta /andrà a fondo su quanto accaduto nel 2016, definiremo la data per la visita a Washington”. Il consigliere di Zelensky, Andriy Yermak, più tardi aveva scritto a Volker che “la telefonata è andata bene”, proponendo diverse date a settembre per il loro primo meeting a Washington. Incontro che, però, non è mai avvenuto perché Yermak non ha mai diffuso un comunicato sull’apertura dell’inchiesta. Trump e Zelensky, così, si sono incontrati solo a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York.

Trump: “Ho il diritto di chiedere indagini per corruzione”
Il presidente degli Stati Uniti, intanto, continua la sua linea difensiva sostenendo di avere il diritto di contattare un capo di Stato straniero per sollecitare delle indagini per corruzione nei confronti di un cittadino americano. “Come presidente degli Stati Uniti, ho il diritto assoluto, forse anche il dovere, di indagare sulla corruzione, e questo include chiedere o suggerire ad altri Paesi di darci una mano”, ha scritto su Twitter il tycoon. “Questo – ha aggiunto – non ha a che vedere con la campagna elettorale, si parla di corruzione su larga scala“.

Parole in linea con quelle che giovedì avevano di nuovo scatenato le proteste delle opposizioni. Trump ha detto che “la Cina dovrà fare quello che vogliamo perché noi abbiamo un enorme potere”. Poi ha cercato di essere più chiaro: “La Cina dovrebbe iniziare a indagare i Biden, perché quel che è accaduto in Cina è grave quanto quel che è accaduto in Ucraina”. A quel punto, un giornalista gli ha chiesto se avesse già chiesto a Xi Jinping di indagare sul suo avversario politico. Così Trump ha risposto: “No, ma è qualcosa sui cui dovremmo iniziare a riflettere”.

Procura generale ucraina: “Stiamo riesaminando 15 indagini, anche quella su Hunter Biden”
Il procuratore generale ucraino, Ruslan Riaboshapka, citato dall’agenzia Interfax ha dichiarato che la Procura Generale ucraina sta “riesaminando” circa 15 indagini relative a Burisma, inclusa quella in cui è implicato Hunter Biden, il figlio dell’ex vicepresidente americano, Joe Biden, che ricopriva una posizione nel consiglio di amministrazione della compagnia del gas. “Stiamo ora verificando i casi su cui in precedenza ha lavorato la Procura Generale”, ha detto Riaboshapka nel corso di una conferenza stampa.

“Ora stiamo rivedendo tutte le indagini che sono state chiuse o stralciate, o quelle già investigate, per prendere una decisione nel caso in cui siano state fatte scelte procedurali illegali”, ha detto il procuratore generale. Quando gli è stato chiesto quale sia stata la sua reazione dopo aver visto il suo nome nella trascrizione della conversazione tra il presidente ucraino e Trump, Riaboshapka ha risposto: “La mia reazione è stata calma e professionale. I magistrati sono fuori dalla politica”.

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