“Vogliamo costruire un mercato del lavoro più rispondente ai bisogni dei lavoratori, senza intaccare l’organizzazione aziendale. Sono percorsi paralleli, non più antitetici e di contrapposizione”. È questo, all’indomani dell’emendamento del governo al decreto rider, il messaggio che ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha fatto pervenire sabato 5 ottobre alla giornata conclusiva del convegno veronese degli Avvocati giuslavoristi italiani.
Che si è occupato proprio di questi temi, con una tavola rotonda internazionale intitolata “Non solo riders: lungo le strade della Gig economy”, che ha riunito alcuni protagonisti europei nella definizione e nella gestione dei nuovi lavori: da Jason Moyer-Lee, Segretario generale (e fondatore) dell’Independent Workers Union britannico, a Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil, agli avvocati giuslavoristi Román Gil (Spagna), Sheryn Omeri (Inghilterra) e Silvia Tozzoli.
L’eterogeneità fra un Paese e l’altro, hanno dimostrato i loro interventi, non sta solo nelle molteplici figure lavorative e contrattuali, ma anche nell’orientamento legislativo e giurisprudenziale, in alcuni casi particolarmente a favore del lavoratore (Spagna), in altri più “rigido”. Tutti hanno posto però una domanda sul modello di sviluppo Gig economy: possiamo permetterci un’economia centrata sullo sfruttamento (o sulla scarsità di tutele) del lavoratore? E dovrebbero porsela in primis i consumatori (Scacchetti), quando chiedono servizi aggiuntivi ma non sono disposti a compensarli adeguatamente.
Una seconda tavola rotonda, su “Diritti sociali: un Pilastro per l’Europa”, ha invece messo a confronto i rappresentanti di tre grandi Organizzazioni internazionali specializzate – da Federica Saliola, Lead Economist Jobs Group della Banca mondiale, a Stefano Scarpetta, Director for Employment, Labour and Social Affairs dell’Ocse e Giuseppe Casale, direttore del Centro internazionale di formazione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro – con Marco Cilento, Head of Institutional Policy dell’Etuc, la Confederazione europea dei sindacati, interlocutore dell’Unione europea (45 milioni lavoratori iscritti).
“O si investe in tecnologia o ci si può illudere di chiudere la porta; ma la porta non si può chiudere. La tecnologia elimina posti di lavoro ma altri ne crea”, ha spiegato Saliola, convinta che “i problemi da risolvere siano strutturali e legati all’investimento sul capitale umano“. Secondo Scarpetta: “La formazione è la chiave, le politiche sociali la soluzione: la durata media del lavoro si è ridotta, 2 lavoratori disoccupati su 3 non hanno accesso a misure di sostegno. In quasi tutti i paesi la protezione è fornita dal contratto di lavoro, e cioè il più delle volte decade se viene meno il lavoro”.
Inevitabilmente, la domanda di protezione è in crescita, e Cilento dice chiaramente che “bisogna rimettere mano alle norme sui licenziamenti individuali e collettivi, troppo semplificati”. E comunque la tutela deve spostarsi dal posto di lavoro alle persone: “Al centro di tutte le politiche, presenti e future, ci sono le persone – Casale, Oil – Bisogna aumentare gli investimenti sulle competenze, le istituzioni di lavoro, la creazione di lavoro dignitoso e sostenibile”. E tradurre in pratica due grandi e recenti documenti di princìpi: la Dichiarazione del Centenario Oil sul Futuro del lavoro e il Pilastro europeo dei diritti sociali.