A 16 anni Federica Marchesini ha fatto il suo primo scambio culturale a Nîmes, nel sud della Francia. “Lì ho deciso che non volevo più tornare a casa”, racconta. Un anno a Londra appena finite le superiori, tre ad Amburgo, poi il Sudafrica. “Ho capito subito quanto mi piacesse vivere fuori dall’Italia e ora posso dire che ho passato più anni della mia vita all’estero che nel mio Paese”. Federica oggi ha 46 anni, è un’insegnante e vive da 18 a Città del Capo. “Ho sempre avuto più interesse verso gli altri Paesi. Sentivo Verona molto limitante”, racconta ricordando quando, fin da adolescente, la sua realtà le stesse stretta. Così, dopo Inghilterra e Germania, è arrivata nella capitale sudafricana.
Trova le persone “sorridenti e disponibili; il Sudafrica è un Paese accogliente e cordiale”, continua l’insegnante veronese, colpita dall’affetto che l’ha circondata nel paese africano, dove gli italiani sono generalmente ben visti: “Il nostro Paese è considerato una meta turistica da visitare almeno una volta nella vita”, racconta. Federica parla correntemente 5 lingue e ha aperto una scuola che gestisce personalmente. “Faccio lezioni di persona o su Skype, in tutto il mondo: insegno italiano, inglese, francese”. In più organizza eventi sociali e culturali per riunire e animare la comunità italiana del posto. Parlando di Città del Capo, le differenze con l’Italia sono tante. Di sicuro la vita è “meno cara che Italia”, ma “c’è più crimine, perché le differenze sociali, soprattutto dal punto di vista economico, sono ancora forti”. E nei primi tempi è stato difficile abituarsi a stare sempre in allerta. I punti forti “sono gli spazi aperti, la natura e gli animali” anche se dopo cena “non c’è nessuna passeggiata in piazza”. Il Sudafrica per Federica è un paese “radiante, complesso, multietnico” che le ha regalato anche ricordi indimenticabili. Uno su tutti, quando un giorno, aprendo la cassetta della posta, ha trovato la sua nuova carta di identità sudafricana all’interno. “Un documento così importante, inviato per posta ordinaria. Incredibile”, sorride. E quello che l’ha colpita in tutti i paesi in cui ha vissuto è la burocrazia. “In Italia è allarmante inoltrare qualsiasi tipo di richiesta. Non so se il mio sia stato un caso fortunato, ma nei Paesi dove ho vissuto le pratiche sono state veloci ed efficienti. Non sarei mai riuscita ad aprire la mia scuola privata così facilmente a Verona”.
La sensazione che suggerisce l’insegnante veronese è che all’estero ci siano più opportunità di lavoro. “Non conosco le ultime statistiche, ma è quello che dice la mia esperienza. Se così non fosse non ci sarebbe un flusso continuo di partenze dal nostro Paese. Dovunque abbia vissuto, ho notato che la maggior parte degli italiani che sono arrivati hanno trovato lavoro”. In Italia Federica preferisce tornarci in vacanza. Riconosce che abbia un patrimonio “immenso e inestimabile” anche se “non abbastanza valorizzato” ma, dice, “non so se ci vivrei. Ci si lamenta veramente tanto, di tutto. È diventata quasi una sindrome”. L’emozione provata è quella comune a tante storie di expat lontani dal proprio Paese: “È come se vedendolo da qui, da 12mila chilometri di distanza, io provi più tolleranza e affetto”. Se tornare non è nei piani, non lo è neanche restare in Sudafrica. “Questo Paese sta attraversando un momento difficile su tutti i fronti – spiega –. Si respira un’aria di incertezza e si è persa molta fiducia nei confronti dello Stato”. Se dovesse andare via considererebbe come destinazione l’Europa, “ma l’Italia no”. E ad essere sincera non si è mai sentita un’emigrante: “Più che italiana mi sento una cittadina del mondo”.