Un gruppo di persone emarginate e dallo spirito spezzato, dotate di capacità fuori dal comune ma anche di un aspetto che li rende fin troppo mostruosi per condurre un’esistenza serena nella società che li circonda. Vivono nascosti dal resto del mondo e hanno come unico riferimento un avventuriero sulla sedia a rotelle che in passato gli ha salvato la vita.
Chi ha una certa familiarità con la materia “supereroistica” avrà riconosciuto numerose analogie tra questa premessa e quella che è alla base degli X-Men della Marvel: eppure si tratta di una formula narrativa che, cronologicamente parlando, ha visto la luce sulla “carta” per la Dc Comics, precisamente nel giugno del 1963 con la Doom Patrol. Assai riluttanti e ancor più insicuri in quanto eroi, i suoi protagonisti si delineano piuttosto come una scatenata fiera del surreale e del bizzarro, che si ritrova a coabitare suo malgrado un universo popolato di eroi ben più convinti e integrati.
L’assunto base del soggetto è che il mondo è un posto assai strampalato, popolato da realtà pittoresche tanto nel bene quanto nel male, e animato da tragedie perlopiù casuali. L’unico percorso di redenzione del dolore passa attraverso l’accettazione delle proprie stranezze e diversità, di quelle peculiarità che vengono fatte oggetto di scherno e censura da parte della maggioranza “ordinaria”. Deformità del corpo che, tuttavia, sono spesso assai più facili da accettare e gestire di quelle dello spirito.
Ideata inizialmente da Jeremy Carver per la piattaforma DcUniverse, la serie televisiva incentrata su questo fumetto ha riscosso un inatteso successo sia di critica che di pubblico negli Stati Uniti, convincendo Amazon Prime a portarla in Italia dal 7 ottobre. La ragione di questo successo è che davvero nel fumetto non si è mai visto niente di tanto strambo quanto la Doom Patrol: soprattutto grazie al ciclo narrativo del leggendario autore scozzese Grant Morrison (fonte d’ispirazione primaria della serie), che ha esaltato le potenzialità della premessa di base rilanciando la bizzarria nella stratosfera e arricchendo il cast principale di personaggi al limite del delirio febbrile.
Cliff Steele (Brendan Fraser) è un ex pilota Nascar il cui cervello è stato trapiantato in un corpo robotico goffo e rudimentale, dopo che un incidente ne ha distrutto quello originale. Nella sua vita precedente era un pessimo marito e padre, e sono stati i suoi vizi e la sua superficialità a distruggere la sua famiglia. Rita Farr (April Bowlby) era una diva del cinema di serie B degli anni 50, nonché una persona profondamente egoista e dall’atteggiamento distruttivo: dopo essere entrata in contatto con un gas tossico, ha acquisito la capacità di tramutarsi in un grosso blob elastico e senza forma, che non riesce a controllare quando è sotto stress.
Larry Trainor (Matt Bomer) negli anni 60 era un asso dell’aviazione e un padre di famiglia che conduceva un’esistenza a metà, poiché costretto a nascondere la propria relazione omosessuale con un collega. L’esposizione a una strana esplosione di energia negativa sfigura completamente il suo corpo e gli dona poteri misteriosi e perlopiù fuori dal suo controllo. Crazy Jane (una straordinaria Diane Guerrero) è una violenta schizofrenica dotata di ben 64 personalità distinte, ognuna delle quali ha un superpotere diverso. Le loro vite sono state salvate dal Dr. Niles Caulder (Timothy Dalton), medico non convenzionale e avventuriero, la cui filantropia nasconde più di un’ombra. A loro si unisce Cyborg (Joivan Wade), ibrido cibernetico e aspirante supereroe, che nei fumetti fa parte sia della Justice League che dei Titans.
Le loro ferite vengono da lontanissimo e in alcuni casi consentono loro di superare i limiti biologici della specie umana. Ma questa capacità non si ripete quando si tratta di guarire dai propri dolori, anzi li condanna a una condizione perpetua di isolamento. Encomiabile in questo senso la scelta di far risalire le origini dei protagonisti alle decadi originali in cui sono ambientati i principali cicli narrativi del fumetto, poiché dona all’atmosfera generale una qualità caleidoscopica che esalta le individualità di ognuno attraverso le reciproche differenze di background.
In questo senso la serie rende giustizia allo strambo senza mai scadere nel gratuito. Ogni eccesso è pensato per essere divertente, in più di un caso addirittura commovente. Personaggi quali l’antagonista Mister Nobody (un superlativo Alan Tudyk), un’ombra vivente in grado di assorbire la sanità mentale dagli altri, ma ancora il Cacciatore di Barbe, l’oracolo Baphomet (un cavallo azzurro cantante), Danny the Street (letteralmente una strada senziente di nome Danny) e Animal-Vegetable-Mineral Man, un turista con una testa di dinosauro sulla spalle e il corpo fatto di piante e pietre, sono un omaggio all’assurdità della materia fumettistica, ma anche al disordine nevrotico della società che ci circonda. Con una materia tanto poco neutrale era più facile fare male che bene, specie senza la disponibilità economica e la visibilità concesse ai network più affermati.
Invece, grazie anche a interpreti di livello e a una sorprendente devozione al materiale originale, il risultato è quello di una dedica sincera alla fallibilità umana: 15 episodi in cui l’azione è spesso secondaria rispetto al focus centrale, ovvero il percorso, singolo e collettivo, di persone profondamente danneggiate che si vedono costrette ad affrontare i propri demoni. Nel farlo, dovranno tentare disperatamente di essere una versione migliore di sé.