Lo dice una nuova elaborazione dati svolta per Il Sole 24 Ore dal Cnr - Centro nazionale delle ricerche. L'estate del 2019 è stata la terza più calda dal 1800, dopo 2003 e 2012
Le temperature sottozero in alta quota diventano più rare. Lo dicono i nuovi dati dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr – Centro nazionale delle ricerche elaborati per il Il Sole 24 Ore e svolti monitorando il clima delle aree alpine. Emerge un quadro in linea con l’emergenza climatica globale: l’estate del 2019 è la terza più calda dal 1800 (dopo 2003 e 2012) e le giornate con temperature negative sono scese del 10% rispetto agli anni Settanta. L’estremo freddo delle Alpi, in sostanza, si riduce sempre di più: tre-quattro giorni in meno ogni anno in cui la temperatura registra picchi minimi in negativo, un calo del 2 per cento ogni decennio.
Il processo è lento ma costante, e colpisce paesaggi e atmosfera. Il ghiaccio si fonde (recente l’allarme per il Planpincieux, sul Monte Bianco), le rocce vengono esposte alla radiazione solare e il terreno sottostante assorbe il calore con maggiore facilità rispetto alla superficie ghiacciata, contribuendo a sua volta al surriscaldamento.
Michele Brunetti, responsabile della banca dati di climatologia dell’Istituto, precisa al Il Sole 24 Ore che rispetto alla media globale la zona del Mediterraneo registra un aumento delle temperature più pronunciato: cosa che ha contribuito a rendere la fusione dei ghiacciai sull’arco alpino un fenomeno più insistente rispetto ad altre catene montuose (in gioco però c’è anche la bassa altitudine). E infatti i ghiacciai alpini non stanno bene. Rispetto agli anni ’80 si registrano bilanci di massa negativi: significa che le perdite estive sono maggiori rispetto agli accumuli invernali, quindi si scioglie molto di più di quanto si addensa.
Non solo la natura, anche le città sono oltrepassate da un’ondata di fenomeni anomali. Il Cnr ha monitorato le temperature di 50 località italiane, da nord a sud, e nel 2019 ha riscontrato che i picchi di calore non si registrano solo nei mesi estivi, ma anche nei mesi invernali da gennaio a marzo. Un esempio: il 27 febbraio le massime fra Udine e Grosseto sono state le più alte dell’anno, rispettivamente con 11,5 e 8,7 gradi sopra la media climatica registrata fra il 1981 e il 2010.