Il boss di San Giuseppe Jato continua dunque a scontare la sua pena nel carcere di Rebibbia. La procura generale nella sua requisitoria aveva chiesto ai giudici di non concedere i domiciliari al pentito. Maria Falcone: "Ha già usufruito di 80 permessi". Il suo legale: "Fine pena nel 2022"
Niente domiciliari per Giovanni Brusca: la Cassazione ha infatti respinto la richiesta dei suoi legali di ottenere la detenzione casalinga. Il boss di San Giuseppe Jato continua dunque a scontare la sua pena nel carcere di Rebibbia. La procura generale nella sua requisitoria aveva chiesto ai giudici di non concedere i domiciliari al boss di San Giuseppe Jato. “Giovanni Brusca terminerà di scontare la sua pena in carcere nel 2022, se la Cassazione non accoglierà la richiesta di collocarlo ai domiciliari, ma potrebbe tornare libero alla fine del 2021 perchè ha uno ‘scontò di 270 giorni come previsto dal regolamento carcerario. Nel suo parere negativo alla detenzione domiciliare, il Pg della Cassazione ha condiviso le motivazioni del Tribunale di sorveglianza che ritiene che Brusca non si sia ravveduto a sufficienza”, ha detto l’avvocato Antonella Cassandro, che ha sottolineato come oltre al Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, abbiano dato parere favorevole ai domiciliari anche la direzione del carcere di Rebibbia, e le autorità di pubblica sicurezza di Palermo.
L’avvocato: “Non rifarebbe ciò che fatto” – “Non rifarebbe quello che ha fatto, ma indietro non si può tornare. Giovanni Brusca in questi anni è passato attraverso un cambiamento importante, un ravvedimento c’è stato, lo attesta anche la magistratura di sorveglianza oltre che la Procura nazionale antimafia. Non parlo di pentimento che è una categoria morale, ma di cambiamento sì”, aggiunge l’avvocato. Brusca, come riporta il Corriere della Sera, ha fatto ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma che lo scorso 12 marzo ha respinto la sua domanda. I giudici nelle motivazioni ricordarono che il padrino ha commesso una lunga serie di omicidi ma “non ha mai chiesto perdono alle vittime”. Arrestato nel maggio del 1996, Brusca ha iniziato a collaborare due anni e gli restano ancora due anni da scontare, ma la sua istanza non può che scatenare proteste. Gli sono attribuiti 200 morti.
Il fratello del piccolo Di Matteo: “Non ci ha mai chiesto scusa” – Sul caso sono intervenuti diversi familiari di vittime di Cosa nostra. Come Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, ucciso proprio su ordine del boss di San Giuseppe Jato per punire il padre, il pentito Santino Di Matteo, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia. “Giovanni Brusca non ci ha mai chiesto scusa”, dice Nicola Di Matteo, attraverso l’avvocato Monica Genovese, che ricorda anche come “in tutti i processi Brusca ha attribuito colpe e responsabilità al papà del ragazzo” e questo per loro “è un continuo rinnovare una ferita”. Giuseppe Di Matteo fu rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, quando aveva quasi 13 anni, in un maneggio di Piana degli albanesi da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine del boss di San Giovanni Jato. Secondo le deposizioni di Gaspare Spatuzza, che prese parte al rapimento, i sequestratori si travestirono da poliziotti della Dia ingannando facilmente il ragazzo, che credeva di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. Il bambino venne tenuto segregato e poi nel gennaio 1996 fu strangolato e poi sciolto nell’acido.
Maria Falcone: “Ha già avuto 80 permessi” – Brusca è anche il boss che materialmente schiacciò il tasto del telecomando collegato all’esplosivo nascosto sotto l’autostrada di Capaci. “Fermo restando l’assoluto rispetto per le decisioni che prenderà la Cassazione, voglio ricordare che i magistrati si sono già espressi negativamente due volte sulla richiesta di domiciliari presentata dai legali di Giovanni Brusca. Il tribunale di sorveglianza di Roma, solo ad aprile scorso, negandogli la scarcerazione, ha avanzato pesantissimi dubbi sul suo reale ravvedimento” dice Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone e presidente della Fondazione che porta il nome del magistrato assassinato dalla mafia. L’udienza davanti agli ermellini si svolge stamani a porte chiuse, senza la presenza dei difensori che hanno mandato memorie scritte. Il verdetto si saprà domani.
“Mi limito a citare la motivazione del provvedimento – aggiunge la sorella del magistrato – in cui il tribunale, testualmente, ha scritto che non si ravvisava in Brusca ‘un mutamento profondo e sensibile della personalità tale da indurre un diverso modo di sentire e agire in armonia con i principi accolti dal consorzio civile’. Ricordo ancora – osserva Maria Falcone – che Giovanni Brusca proprio grazie alla collaborazione con la giustizia ha potuto beneficiare di premialità importanti: oltre a evitare l’ergastolo per le decine di omicidi che ha commesso – tra questi cito solo quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido a 15 anni – ha usufruito di 80 permessi. Il suo passato criminale, l’efferatezza e la spietatezza delle sue condotte e il controverso percorso nel collaborare con la giustizia che ha avuto luci e ombre, come è stato sottolineato nel tempo da più autorità giudiziarie lo rendono un personaggio ancora ambiguo e non meritevole di ulteriori benefici”. “Sa qual è la verità? Che il nostro dolore non conta niente. Dicono che uno che ha ammazzato duecento persone e che ha sciolto un bimbo nell’acido si è ravveduto e – dice Tina Montinaro, vedova di Antonio uno degli agenti trucidati – che potrebbe andare tranquillamente ai domiciliari, quindi quanto vuole che conti il parere dei familiari delle vittime?“.
“Davanti a una decisione del genere io non so cosa dire. Io spero solo che chi prende questa decisione sia lì a passarsi una manco sulla coscienza, ricordandosi di tutti i morti di Palermo… Dicono che Giovanni Brusca li ha aiutati, non so ancora perché hanno fatto la strage perché abbiamo dovuto aspettare che certi documenti vengano desecretati e – aggiunga la donna – avevamo tutti questi pentiti. Insomma, sono sincera, ci sentiamo presi in giro. Parto sempre dal principio, che forse abbiamo perso tempo nei processi a fare determinate cose, a crederci, perché arrivati a questo punto, come dicono a Palermo ‘Agneddu e sucu e finiu u vattiù”, un modo di dire palermitano per intendere che ormai la decisione è presa e non c’è più niente da fare. Sul presunto ravvedimento di Brusca Tina Montinaro dice: “Beh, finora Brusca non ha avuto la possibilità di uccidere qualcun altro perché in galera…“.
Su Brusca il Riesame scriveva che pur “avendo fatto una revisione critica delle sue azioni criminali, non ha compiuto quel percorso diretto alla manifestazione di un vero e proprio pentimento civile che è necessario per poter godere della detenzione domiciliare”. Ma non solo: “Nonostante Brusca abbia compiuto sforzo per chieder scusa alle vittime – scrivevano – non ha ancora percorso il cammino dell’emenda verso di loro mostrando ancora di non serbare nessun interesse a risarcirle anche simbolicamente”. L’ex boss sottolineano i magistrati si era giustificato sostenendo di non voler mortificare le vittime chiedendo loro scusa. Una giustificazione che adduce un pudore “non credibile per chi si è macchiato di efferati delitti tra cui l’uccisione di bambini e che ha mietuto vittime in modo indiscriminato”.
*Aggiornato da redazione online alle ore 15 del 7 ottobre 2019