Pietro Grasso è preoccupato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che oggi comunicherà la sua decisione sull’ergastolo ostativo. Il motivo? “Era uno dei punti del papello di richieste che Riina pretendeva dallo Stato per fermare le stragi. Ce l’ ha raccontato proprio Giovanni Brusca”, dice l’ex procuratore nazionale antimafia in un’intervista al Corriere della Sera. I giudici di Strasburgo sono chiamati a confermare o modificare la sentenza emessa il 13 giugno del 2019: quel giorno la Cedu – a maggioranza, con un giudice contrario – diede ragione al ricorso di un boss di ‘ndrangheta, Marcello Viola, che aveva fatto causa allo Stato italiano. Condannato a quattro ergastoli per omicidi plurimi, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi, in base all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario Viola non può accedere all’assegnazione al lavoro all’esterno, ai permessi premio, e alle misure alternative alla detenzione, visto che non ha offerto alcuna collaborazione, anche quella che risulta oggettivamente irrilevante.
A giugno la Cedu aveva definito “trattamento inumano e degradante” l’istituto giuridico dell’ergastolo ostativo. Se oggi i giudici di Strasburgo onfermare la sentenza favorevole a Viola per 957 persone condanne all’ergastolo per reati di mafia e terrorismo si potrebbe aprire la strada dei ricorsi contro lo Stato. Grasso, così come altri magistrati come Nino Di Matteo, politici come Alfonso Bonafede e Nicola Morra, è preoccupato. “Non sono sicuro che a livello europeo, attraverso la sola lettura delle carte, si riesca a percepire fino in fondo la pericolosità e l’ incidenza della criminalità organizzata in Italia”, dice Grasso. Il 22 ottobre, tra l’altro, sullo stesso tema si esprimerà la Corte costituzionale: dopo aver già dichiarato costituzionale l’ergastolo ostativo, la Consulta dovrà ora decidere su un altro ricorso, quello di Sebastiano Cannizzaro, condannato per associazione mafiosa. “Ma un mafioso non può reinserisi se non rompe le regole dell’organizzazione criminale, e questo si dimostra solo collaborando con lo Stato. Inoltre la norma concede la possibilità di accedere ai benefici anche a chi dimostra di non avere più legami con l’ambiente criminale pur non potendo fornire nuovi elementi ai magistrati”, dice sempre l’ex presidente del Senato. Che poi avverte: nonostante una sentenza favorevole della Cedu non significhi assolutamente l’immediata scarcerazione dei boss detenuti, “tuttavia non sempre i tribunali di sorveglianza hanno la possibilità di conoscere a fondo le storie criminali dei singoli soggetti. In ogni caso la strada per uscire dall’ ergastolo ostativo c’ è già, e ovviamente dipende dallo spessore criminale dei singoli detenuti”.
L’ex procuratore capo di Palermo ha commentato anche il caso di Giovanni Brusca, il boia di Capaci che ieri si è visto negare i domiciliari dalla Cassazione. “Quando ho avuto a che fare con lui avevo l’obiettivo di cercare la verità. Non mi sono preoccupato di ottenerne le scuse o richieste di perdono, la legge per ‘ravvedimento’ intende altro. Lui ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme. Il ‘pentimento sociale’ richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s’ è interrotta in oltre vent’ anni, perché ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini”, dice Grasso. “Per me – aggiungev – è stato giusto che Riina e Provenzano siano rimasti in carcere fino alla loro morte, ma uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera. Ha scontato oltre 23 anni in carcere, e tra due anni la pena sarà esaurita, gode già di permessi che per certi versi gli concedono più spazi di libertà rispetto alla detenzione domiciliare: è la dimostrazione che collaborare paga. I magistrati hanno avuto tutti gli elementi per decidere, e io rispetto qualsiasi decisione”.