Un gruppo di scienziati del Southwest Research Institute (SwRI) ha creato un nuovo algoritmo informatico che utilizza l’apprendimento profondo per analizzare le immagini ultraviolette del Sole e misurare l’energia che il Sole emette come luce ultravioletta. Uno strumento unico, che potrebbe rivoluzionare le missioni spaziali a basso costo apportando maggiore efficienza. Le immagini usate dall’algoritmo sono quelle catturate dal Solar Dynamics Observatory della NASA.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances, è curato dal ricercatore Andrés Muñoz-Jaramillo del SwRI, insieme a collaboratori di altre nove istituzioni nell’ambito del Frontier Development Laboratory della NASA. Si tratta di un laboratorio sull’Intelligenza Artificiale applicata, che sfrutta le tecniche di apprendimento profondo e di apprendimento automatico per risolvere le sfide della Scienza e dell’esplorazione spaziale.
Muñoz-Jaramillo spiega che “il deep learning è una capacità emergente che sta rivoluzionando il modo in cui interagiamo con i dati”. Si tratta di un metodo di apprendimento automatico che imita il modo in cui il cervello umano elabora le informazioni. Il risultato è visibile nelle ormai numerose macchine che svolgono compiti che in precedenza richiedevano l’intelligenza umana, come la traduzione di lingue straniere e la guida di un veicolo autonomo. Per fare esempi tangibili, sono risultati di un apprendimento profondo azioni come Netflix che suggerisce cosa guardare, lo sblocco dell’iPhone con riconoscimento facciale e l’assistente virtuale Alexa che risponde a una richiesta vocale.
Che cosa c’entra tutto questo con le missioni spaziali? Muñoz-Jaramillo sottolinea che “tutte le missioni oltre la Terra hanno a bordo una serie di strumenti progettati con capacità specifiche, per rispondere a specifiche domande scientifiche. Quando li combiniamo in “super strumenti” virtuali, siamo in grado di produrre missioni più convenienti con un impatto scientifico più elevato, oppure di utilizzare le misurazioni di uno strumento per aiutare a rispondere alle domande scientifiche di un altro”. Questo è esattamente quello che hanno fatto i ricercatori con il nuovo studio.
Uno degli aspetti interessanti è che questi super strumenti virtuali non invecchiano, quindi non renderanno l’hardware obsoleto. Sarà il software ad aggiornarsi di volta in volta. Richiederanno sempre un veicolo spaziale per raccogliere i dati necessari per la virtualizzazione, perché “gli strumenti di apprendimento profondo non possono creare qualcosa dal nulla, ma possono migliorare significativamente le capacità della tecnologia esistente“.
Lo strumento oggetto dello studio è già in uso come parte del progetto Frontier Development Laboratory per la previsione dei disturbi della ionosfera. Muñoz-Jaramillo sta lavorando allo sviluppo di altri super strumenti che combinino altre capacità. “In sostanza, il deep learning implica una sofisticata trasformazione dei dati” spiega il ricercatore. “Siamo in grado di trasformare queste informazioni in dati scientificamente utili”.