Il premier ha partecipato alla cerimonia per il giuramento dei nuovi assunti del Sistema di Informazione per la sicurezza della Repubblica. Per il premier l'intelligence italiana "è il presidio della democrazia". Il presidente del consiglio ha pubblicamente apprezzato l'operato dei vertici: "Consentitemi di cogliere questa occasione per esprimere il mio più sentito apprezzamento e ringraziamento per l'operato dei vertici del comparto"
L’intelligence italiana? “È un patrimonio dell’intera Nazione, una comunità di valorosi professionisti che, garantendo la sicurezza del Paese, protegge quella sfera di interessi nazionali che unisce e non divide, nella quale tutti i cittadini italiani si riconoscono e debbono potersi riconoscere”. Parola del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, che ha partecipato alla cerimonia per il giuramento dei nuovi assunti del Sistema di Informazione per la sicurezza della Repubblica. Per il premier l’intelligence italiana “è il presidio della democrazia, non essendo concepibile che si muova al di fuori del controllo parlamentare e dei compiti che il Governo le assegna”. Il premier ha sottolineato che “l’interesse nazionale è il perno dell’azione” dei servizi. Poi ha definito “l’ancoraggio alla comunità euroatlantica e a un multilateralismo avveduto, aggiornato e realmente efficiente rappresentano per il nostro Paese un punto di riferimento imprescindibile della proiezione internazionale, come pure strumento migliore per far si che le logiche cooperative si impongano e prevalgano su quelle competitive”.
Poi il presidente del consiglio ha pubblicamente apprezzato l’operato dei vertici dell’intelligence: “Consentitemi di cogliere questa occasione per esprimere il mio più sentito apprezzamento e ringraziamento per l’operato dei vertici del comparto e ringraziare tutti le donne e gli uomini che già sono avanti nella professione per l’attività quotidiana che svolgono a servizio della nazione”. Alle nuove leve, chiudendo il suo intervento, il presidente del Consiglio ha augurato di “sentire ogni giorno tutti i vostri colleghi come preziosi compagni di viaggi di cui fidarsi incondizionatamente” e “di poter andare ogni sera, giorno dopo giorno, a letto convinti di aver rispettato la Costituzione e i valori democratici della nostra comunità nazionale”, “onorando la Patria e i nostri interessi nazionali”.
Parole eloquenti quelle del presidente del consiglio, titolare della delega ai servizi segreti, nei giorni in cui è scoppiato il cossiddetto Russiagate. Sui contatti tra la nostra intelligence e William Barr, procuratore generale degli Stati Uniti, il presidente del consiglio si è detto pronto al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Come racconta il Fatto Quotidiano in edicola Conte ha spiegato ai suoi collaboratori che Donald Trump non gli ha parlato mai di Barr.
La versione del presidente del consiglio è circoscritta ai due incontri che il ministro della giustizia americano ha avuto con i vertici dei nostri 007. Poco prima di ferragosto, quando il governo con la Lega era praticamente ai titoli di coda, a Palazzo Chigi è arrivata una richiesta dall’ambasciata Usa. Gli americani chiedono di consentire al ministro Barr di ottenere notizie sul maltese Joseph Mifsud, controverso professore alla Link University, che Washington considera legato al Russiagate e irreperibile da tempo. Una richiesta che per Palazzo Chigi è accettabile, ma solo ad alcune condizioni: se gli Stati Uniti vogliono uno scambio d’informazioni tra Paesi alleati, va stabilito il perimetro. Se invece intendono svolgere un’inchiesta giudiziaria (negli Usa il ministro della giustizia è anche responsabile del Fbi) sarà necessaria una rogatoria.
Il premier non ha visto personalmente Barr ma reputa utile un incontro tra i nostri 007 e gli americani per ottenere informazione che a Roma non circolano. Gli incontri tra Gennaro Vecchione, capo del Dis cioè il dipartimento che coordina l’intelligence possono essere una buona occasione informativa per l’Italia. Per questo motivo Conte autorizza Vecchione a ospitare Barr nella sede degli 007 a Roma, in piazza Dante. Un incontro preliminare, dopo il quale Vecchione organizza una riunione effettiva con il prefetto Mario Parente e il generale Luciano Carta, rispettivamente al vertice di Aisi e Aise, i servizi segreti interni ed esterni. Niente da nascondere: il capo del Dis invita i due capi per iscritto all’appuntamento con la delegazione Usa del 27 settembre. Prima di quel vertice Conte convoca Carta, Parente e Vecchione e dà istruzioni: la collaborazione deve avere interesse reciproco e agli americani non va consegnato alcun tipo di materiale.
Quella riunione è importante: vuol dire che il premier ha fissato un perimetro politico agli 007 e non ha concesso disponibilità a Barr per vantaggi personali (l’endorsement di Trump con l’ormai celebre tweet in cui lo chiama “Giuseppi”). Per il premier quei due incontri sono da inquadrare in una semplice rapporto tra Paesi alleati. Per questo motivo oggi ci ha tenuto a parlare di intelligence “presidio della democrazia, non essendo concepibile che si muova al di fuori del controllo parlamentare e dei compiti che il Governo le assegna”.