La notizia del bombardamento di posizioni curde da parte della Turchia al momento non trova ulteriori conferme da parte turca né dalle autorità curdo-siriane, ma l’agenzia Sana, vicina a Damasco, ha riferito di attacchi nella notte nella regione nord-orientale al confine con l’Iraq, nei pressi del valico frontaliero di Simalka, testimoniati da foto e video. L’area rappresenta un corridoio vitale per i rifornimenti militari e logistici della Coalizione anti-Isis a guida Usa e per le forze curdo-siriane. Nell’incertezza di quanto è accaduto della notte, quel che è sicuro è che la Casa Bianca ha spiegato di non avere concesso nessuna “luce verde” ad Ankara per procedere con gli attacchi contro le Unità di Protezione del Popolo (Ypg), milizia curda che controlla le regioni nel nord della Siria e che la Turchia considera un’organizzazione terroristica. Di fatto, però, il ritiro dei soldati americani dal nord del Paese lascia campo libero ai militari turchi, e le 60mila unità delle Syrian Defense Force – dove rientrano anche uomini di Ypg – presidiano capillarmente il territorio ma non hanno i mezzi necessari a respingere l’annunciata offensiva della Turchia. E per difendersi, ha annunciato martedì mattina Mazlum Abdi, comandante in capo delle forze curdo-siriane, “stiamo considerando una partnership col presidente siriano Bashar-al Assad con l’obiettivo di combattere le forze turche”. L’acerrimo nemico che, oggi, può servire a respingere una possibile invasione.
Ieri Trump aveva annunciato il ritiro dei soldati americani dalla Siria e un’imminente operazione turca nel nord del Paese, il cui obiettivo sono le forze curde. Inoltre, ha aggiunto Washington, la decisione del presidente Usa di ritirare i soldati statunitensi di stanza in Siria vicino alla frontiera con la Turchia riguarda solo fra 50 e 100 membri delle forze speciali – e non mille come era stato anticipato -, che saranno “ridispiegati in altre basi” all’interno del Paese. Il ministero della Difesa di Ankara ha però precisato che tutti i preparativi per un’operazione militare turca nel nord della Siria sono conclusi, ribadendo come la creazione di una “zona di sicurezza” al confine tra i due Paesi sia essenziale per la stabilità della regione e per permettere ai siriani di vivere in sicurezza. “La creazione di una zona di sicurezza/corridoio di pace – ha scritto su Twitter il ministero della Difesa – è essenziale per la sicurezza dei siriani, la pace e la stabilità della regione. Le forze di sicurezza turche non tollereranno la creazione di un corridoio del terrore ai nostri confini”. A schierarsi contro un eventuale attacco della Turchia è l’Iran, dove il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha ribadito al suo omologo turco Mevlut Cavusoglu “l’opposizione” di Teheran a una “azione militare” turca in Siria e ha anche chiesto “il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità” di Damasco.
Il vicepresidente turco Fuat Oktay, intanto, ha risposto a Trump che aveva ipotizzato eventuali choc all’economia turca nel caso in cui il governo di Erdogan superi “i limiti” nell’imminente operazione militare contro le milizie curde delle Ypg nel nord-est della Siria. “Il nostro messaggio alla comunità internazionale è chiaro – ha detto Oktay- La Turchia non è un Paese che agisce sotto minaccia”. Quando si tratta della sua “sicurezza – ha proseguito -, la Turchia segue la propria strada” e lo fa “a qualunque prezzo”.
La priorità della Casa Bianca: “Proteggere i soldati Usa” – Il ritiro delle truppe Usa, ha dichiarato un alto responsabile americano , non equivale a “un ritiro dalla Siria” e il ridispiegamento non rappresenta in nessun caso “una luce verde” a un’offensiva militare turca contro le forze curde nel nordest della Siria. Pare che i turchi siano impegnati in qualche sorta di operazione militare” ma “non ci sarà nessun coinvolgimento delle forze armate Usa”, ha aggiunto l’alto funzionario dell’amministrazione Trump. Come spiegato dal funzionario, quando Trump, durante la telefonata di domenica con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha capito che quest’ultimo intendeva proseguire con il suo progetto “di invasione” potenziale “della Siria nord-orientale“, il presidente Usa ha dato la priorità alla “protezione” dei soldati statunitensi. Esiste “un piccolo numero, da 50 a 100 membri delle forze speciali stanziate in questa regione che non devono correre il rischio di essere feriti, uccisi o catturati se i turchi attraversano il confine e si impegnano a combattere con le forze curde locali”, ha ribadito il funzionario. Tuttavia, ha confermato che gli Stati Uniti non si sarebbero opposti militarmente alla Turchia in Siria.
“Potremmo essere nel processo di lasciare la Siria, ma in nessun modo abbiamo abbandonato i curdi che sono gente speciale e meravigliosi combattenti”, ha scritto su Twitter, nel pomeriggio di martedì, Donald Trump. “Stiamo aiutando i curdi finanziariamente e con le armi”, ha poi aggiunto prima di tornare a minacciare la Turchia con possibili sanzioni economiche: “Ogni combattimento non forzato o non necessario da parte della Turchia sarà devastante per la sua economia e per la sua valuta molto fragile”.
Sdf: “Pronti ad allearci con Assad contro i turchi”
In una partita che, in caso di offensiva turca, sarebbe impari, con l’esercito di Ankara che piegherebbe facilmente la resistenza delle Sdf, queste hanno annunciato di essere disposte a scendere a patti col nemico di sempre, Bashar al-Assad, pur di contenere l’avanzata dei militari di Erdogan. Un’ipotesi che riequilibrerebbe le forze in campo, visto che l’esercito di Damasco, che di certo non vede di buon occhio un’entrata del Paese della Mezzaluna in territorio siriano, supportato da quello russo e dalle milizie iraniane nel Paese ha una capacità militare molto maggiore rispetto ai combattenti curdi. Ago della bilancia, anche in un eventuale ruolo di mediatore, potrà essere proprio il Cremlino: partner economico e commerciale di Ankara e alleato del blocco sciita (Siria, Iran, Hezbollah) in Medio Oriente, ha tutto l’interesse a sedersi a capotavola durante eventuali colloqui di pace. Posto che Donald Trump sembra aver deciso di lasciare libero.
E proprio quest’ultimo aspetto, oltre al “tradimento”, come è stato letto da parte dell’opinione pubblica, anche Repubblicana, nei confronti del popolo curdo, ha attirato altre critiche da parte di alcuni membri del Grand Old Party. Sfilarsi così da una guerra combattuta per otto anni, senza aver ridato stabilità al Paese, significa consegnare di fatto la Siria nelle mani di Russia e Iran.
Anche le comandanti delle Ypj promettono di essere pronte a combattere contro i turchi: “Risponderemo a qualsiasi tipo di attacco, ci difenderemo – ha dichiarato la comandante Dalbr Issa a margine di un’audizione alla Camera dei Deputati – Come forze democratiche curde ci siamo fondati per questo, difendere il nostro popolo. Come abbiamo risposto all’Isis, sarebbe lo stesso anche contro un attacco dello Stato turco”. Ma auspica “una conferenza di pace che trovi una soluzione pacifica nell’interesse di tutti”.
La leader militare ha poi continuato sostenendo che “se la Turchia interverrà sul nostro territorio, sarà un tradimento. Vorrà dire che la coalizione era sul territorio solo per l’Isis, non per una soluzione democratica e per la libertà di tutti”.
Anche Damasco, per bocca del viceministro degli esteri siriano, Faysal al Miqdad, citato dalla tv di Stato siriana, ha fatto sapere di respingere ogni “occupazione” del suo territorio che difenderà metro per metro. Il governo siriano ha oggi invitato i curdi di Siria a “tornare nell’abbraccio della patria siriana” per evitare di “sprofondare negli abissi”. In un’intervista al quotidiano filo-governativo al Watan, il viceministro si è rivolto ai curdi senza mai nominarli esplicitamente. Dopo aver condannato le dichiarazioni del governo turco e di quello americano, ha poi detto: “Per quanto riguarda gli altri (i curdi), dico loro che noi siamo pronti a difendere la nostra terra e il nostro popolo, e che non devono abbandonarsi alla rovina”.
Ue: “Soluzione non può essere militare”
Dalla Commissione europea, intanto, fanno sapere che “i contatti (con l’amministrazione americana, ndr) sono in corso a livelli differenti e proseguiranno”. Lo ha detto una portavoce di Palazzo Berlaymont durante il consueto incontro con la stampa. “L’Ue è molto chiara nel dire che ogni soluzione sostenibile per la Siria non deve essere militare – ha aggiunto -, deve esserci una soluzione politica. L’Unione europea rimane impegnata nel sostenere l’integrità territoriale siriana”.
Turchia preallerta 14mila combattenti del Free Syrian Army
Intanto, Ankara si prepara ad affrontare un’offensiva che comprenda anche un’avanzata di terra. Se non con mezzi propri, utilizzando i gruppi ribelli siriani che già hanno combattuto al fianco della Turchia per la conquista della città curda di Afrin, nel nord-ovest del Paese. Lo ha detto Yusuf Hammud, portavoce del Fronte Nazionale Siriano, citato dai media siriani filo-turchi: secondo quanto dichiarato, circa 14mila combattenti sono stati allertati dalle forze militari di Ankara in Siria per essere usati nell’eventuale operazione militare.