Nella nostra epoca i servizi “gratuiti” sono raramente gratuiti. La politica ormai in uso da anni è che quello che non si paga con i propri soldi, lo si paga con i propri dati personali. Un esempio lampante è quello emerso da un’analisi del gruppo di difesa Privacy International, secondo cui gli smartphone economici hanno un costo nascosto: app preinstallate che non possono essere eliminate e che sono colabrodi per la sicurezza.
Nell Filippine, ad esempio, gli inviati hanno trovato in vendita uno smartphone del marchio locale MyPhone, che all’epoca costava l’equivalente di 19 dollari. Era un vero e proprio incubo per la privacy e la sicurezza. Era venduto con una versione obsoleta di Android, afflitta da vulnerabilità di sicurezza note che non possono essere corrette. Installava diverse app che non potevano essere aggiornate o eliminate, afflitte da molteplici problemi di sicurezza e privacy. Una di quelle app, Facebook Lite, aveva l’autorizzazione predefinita per tracciare i movimenti dell’utente, caricarne tutti i contatti e leggere il calendario dello smartphone.
La ricerca citata non è l’unica: uno studio recentemente condotto da ricercatori dell’Università della Pennsylvania e della Rutgers University nel New Jersey, rivela che molti consumatori a basso reddito erano ben consapevoli che la loro privacy venisse regolarmente violata, ma la loro condizione economica non gli lasciava alternativa.
Quello che emerge è uno scenario di divario economico che si converte in un importante divario di sicurezza. Gli utenti in cima alla scala di reddito, che possono permettersi smartphone con prezzi compresi fra 500 e mille dollari, usano strumenti più sicuri. Quelli a basso reddito pagano con la privacy quello che non hanno speso in denaro. Detto fuori dai denti, sembrerebbe che la privacy sia un lusso riservato a chi se lo può permettere.
Il sito Fast Company sottolinea che, se da una parte non tutti possono permettersi smartphone di fascia alta, dall’altra la connettività non è limitata ai soli ricchi. Miliardi di utenti dei Paesi in via di sviluppo o con scarse risorse finanziarie hanno accesso alla rete, con dispositivi economici. Sono quasi tutti basati su Android, che ha una quota di mercato globale superiore all’80% e che è facilmente modificabile dai produttori di dispositivi e dai gestori wireless. Questo si traduce in un grave problema: più economico è il telefono, più è probabile che qualcuno vi abbia installato software malevoli.
Fast Company rileva che circa due miliardi di utenti (poco più della metà di tutte le persone online), accedono a Internet solo con lo smartphone. Si prevede che tale numero raggiungerà i 3,7 miliardi di utenti entro il 2025, poiché l’infrastruttura mobile si amplia e registra una maggiore penetrazione nelle regioni sotto servite.
Il problema non è nuovo, e non si limita agli utenti delle economie in via di sviluppo o delle nazioni a basso PIL. Nel 2016, ad esempio, è stato scoperto che 120.000 telefoni Android distribuiti negli Stati Uniti inviavano all’esterno messaggi di testo e altri dati altamente sensibili. Non era una falla di sicurezza, ma una caratteristica dei telefoni. Negli ultimi anni sono stati trovati dozzine di telefoni a basso costo con a bordo malware o backdoor.
Le ricerche concludono tutte con la stessa allerta: la necessità di privacy dovrebbe essere elevata da una libertà personale e un diritto legale a una questione di giustizia sociale. La privacy dei dati non è un lusso per coloro che non possono permettersi di investire il tempo, i soldi e le risorse necessari per proteggere attivamente le proprie risorse digitali.