Loro hanno fatto le stragi per questo motivo. Adesso hanno ottenuto uno dei loro scopi principali”. Loro sono i boss di Cosa nostra, gli stragisti irriducibili seppelliti al 41 bis: Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano, Piddu Madonia. Presto potrebbero avere diritto a un permesso premio. O in subordine a un indennizzo da parte dello Stato. E il commento alla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani arriva da Nino Di Matteo, pm simbolo della lotta alle mafie, contattato da ilfattoquotidiano.it.

Una decisione epocale quella dei giudici di Strasburgo che hanno confermato la decisione emessa nel giugno scorso su Marcello Viola, boss calabrese della ‘ndrina di Taurianova. Quattro ergastoli per plurimi omicidi, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi: un curriculum che in base all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario non permetteva a Viola di accedere all’assegnazione al lavoro all’esterno, ai permessi premio, e alle misure alternative alla detenzione. Una legge ideata personalmente da Giovanni Falcone nel 1991: è il cosiddetto ergastolo ostativo ed è una preclusione prevista per tutti i detenuti al carcere a vita che come il boss calabrese non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia. Pure quella che risulta oggettivamente irrilevante alle indagini: lo stesso articolo 4 bis, infatti, i benefici carcerari possono “essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”. Insomma: basta manifestare l’intenzione di cambiare vita per ottenere benefici carcerari, anche senza fornire informazioni inedite o utili alle indagini. Adesso, però, la storia potrebbe cambiare. “La sentenza della Cedu è un colpo di piccone alla sistema di prevenzione antimafia”, dice il magistrato Sebastiano Ardita, già tra i vertici del Dipartimento amministrazione penitenziaria e oggi membro del Csm.

Cosa dice la sentenza e cosa c’era nel papello di Riina – Respingendo il ricorso dell’Italia contro la sentenza Viola, la Cedu rischia di causare un vero e proprio terremoto per l’intero sistema italiano. Secondo Strasburgo l’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani, quello che disciplina come nessuno possa “essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. I giudici, in pratica, scrivono che “lo Stato deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena”. Un riesame che, come si legge nella sentenza, “permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l’esecuzione della pena stessa, il detenuto si sia evoluto e abbia fatto progressi tali” da non giustificare più “il suo mantenimento in detenzione”. Quel riesame, però, come detto esiste già: basta manifestare l’intenzione di collaborare con la giustizia. La Cedu, però, non la pensa così: “Pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della ‘dissociazione dall’ambiente mafioso“, scrivono i giudici di Strasburgo, sottolineano “che tale rottura può esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia” e senza l’automatismo legislativo attualmente vigente. In realtà non esistono precedenti simili. Non c’è nella storia delle associazioni criminali un esempio di boss che ha rotto con il suo clan senza collaborare con la giustizia. O meglio: era una delle richieste di Totò Riina, nel famoso papello che doveva essere recapitato allo Stato per far cessare le stragi. “Riconoscimento dei benefici dissociati per i condannati per mafia (come per le Brigate Rosse)”, era il punto cinque della lista che sarebbe stata compilata dal capo dei capi. Al punto due c’era invece “l’annullamento dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario (cosiddetto carcere duro)”.

“Ergastolo chiodo fisso degli stragisti” – E infatti è proprio il papello che cita Pietro Grasso: ““La decisione di non accogliere il ricorso dell’Italia è figlia di una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano. Non è un caso che l’abolizione dell’ergastolo fosse uno dei punti del papello di Riina per fermare le stragi. Questa legge, dura ma non incostituzionale, pone i mafiosi davanti a un bivio: essere fedeli a Cosa nostra e pagarne le conseguenze o collaborare con lo Stato e iniziare il processo di ravvedimento e rieducazione previsto dalla Costituzione. Senza di questo non si può concedere alcun beneficio”, dice l’ex presidente del Senato ed ex procuratore nazionale antimafia. “Chi conosce storicamente Cosa nostra sa bene che l’unica vera preoccupazione per i mafiosi è proprio l’ergastolo, inteso come effettiva reclusione senza alcuna possibilità di accedere ai benefici”, aveva detto Di Matteo qualche giorno fa in un’intervista al Fatto Quotidiano. “Attenuare la portata dell’ergastolo costituisce un chiodo fisso nei vertici dell’organizzazione. Molti boss stragisti condannati definitivamente all’ergastolo non hanno preso la decisione di collaborare con la giustizia proprio perché in fondo ancora sperano che in un modo o nell’altro ci sia l’eliminazione degli effetti dell’ergastolo ostativo e che possano un giorno anche loro accedere ai benefici carcerari”, ha aggiunto Di Matteo.

La corsa a Strasburgo degli ergastolani – Un’ipotesi che si è effettivamente verificata. Respingendo il ricorso dell’Italia, infatti, la Cedu ha chiesto al nostro Paese di modificare la legge sull’ergastolo ostativo. Il legislatore dovrà intervenire per attenuare quella norma: non ci sono limiti di tempo e neanche alcuna automazione. Già il 22 ottobre, però, sullo stesso tema si esprimerà la Corte costituzionale: dopo aver già dichiarato costituzionale l’ergastolo ostativo, la Consulta dovrà ora decidere su un altro ricorso, quello di Sebastiano Cannizzaro, condannato per associazione mafiosa. Ed è probabile che la decisione della Cedu influenzi anche la Consulta. La legge insomma non è ancora cambiata: da Strasburgo però è arrivato un grosso colpo a quello che era un caposaldo della lotta a mafie e terrorismo. “Da anni nelle intercettazioni ascoltiamo mafiosi che parlano dell’Europa come ultima possibilità per non morire in carcere”, dicono alcuni investigatori. E infatti, dopo la prima sentenza Viola altri 12 ergastolani hanno depositato il loro ricorso davanti alla Corte europea, seguendo l’esempio di Viola: è evidente che Strasburgo darà ragione anche a loro. Duecentocinquanta condannati, invece, hanno presentato ricorso al Comitato delle Nazioni unite, mentre la maggior parte delle 1250 persone che sottoposte all’ergastolo ostativo sono pronte a chiedere permessi e benefici. Citando ovviamente la sentenza Viola nelle loro richieste. A valutare le loro richieste saranno, caso per caso, i giudici di sorveglianza. “Ma è ovvio che le maglie adesso si allargheranno. Anche perché i detenuti ai quali viene negato un permesso potranno chiedere i danni”, fanno notare le stesse fonti al fattoquotidiano.it.

Il proclama Bagarella – Facendo un esempio estremo: il rischio imminente è che il nostro Paese si trovi a dover risarcire, anche con cifre importanti, gli ergastolani colpevoli di diritti efferati come Leoluca Bagarella o Giuseppe Graviano. “Noi detenuti stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politicheabbiamo iniziato una protesta civile e pacifica. Tutto ciò cesserà nel momento in cui le autorità preposte in modo attento e serio dedicheranno una più approfondita attenzione alle problematiche che questo regime carcerario impone“, era il comunicato letto da Bagarella nel 2002, collegato in videoconferenza con il tribunale che lo stava processano. Nel 2009, invfece, Graviano venne chiamato a deporre al processo a Marcello Del’Utri ma si avvalse della facoltà di non rispondere, lanciando un avvertimento criptico_ “Per il momento non sono in grado di essere sottoposto a interrogatorio. Vedremo quando il mio stato di salute me lo permetterà”. Non hanno parlato Graviano e Bagarella. Non hanno raccontato nulla degli incofessabili segreti di cui sono custodi. Adesso sono tornati a sperare. Con loro molti altri.

Twitter: @pipitone87

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