Il Tribunale di Milano ha rigettato oggi l’istanza di fallimento avanzata verso Moby spa da tre fondi internazionali detentori del bond aziendale da 300 milioni con scadenza 2023 crollato martedì al suo picco più basso di valore (28,27%). I tre fondi speculativi – Soundpoint Capital, Cheyenne Capital e York Capital – possiedono oltre un milione di euro dell’obbligazione e avevano avanzato la richiesta legale a seguito dell’ultima discussa operazione della compagnia: la cessione di due navi di punta della flotta alla danese DFDS a fronte di una plusvalenza e dell’acquisto di due scafi più datati. I giudici hanno respinto la tesi di insolvenza prospettica – quindi non immediata ma entro un anno – che i fondi avevano avanzato probabilmente per ottenere un commissariamento prudenziale dell’azienda a tutela del loro credito, perché Moby spa al momento “funziona regolarmente” e mancano elementi certi per poter ritenere che questa diventi “a breve” incapace di saldare il dovuto nei tempi attesi.
Il decreto del Tribunale di Milano conferma tuttavia che è “evidente” la situazione di crisi “dalle caratteristiche importanti, che potrebbero divenire molto gravi” del gruppo Onorato – segnato da un indebitamento lordo di 712 milioni di euro – cui il suo amministratore starebbe reagendo con la strategia di vendere le navi della propria flotta allo scopo di ottenere quella liquidità necessaria ad onorare i suoi debiti entro le scadenze. I giudici stimano addirittura che in forza di questa strategia la compagnia potrebbe doversi liberare di 10 scafi, su 48, in caso di mancato rinnovo della convenzione pubblica da 72 milioni l’anno all’ex Tirrenia CIN, che scadrà salvo sorprese a luglio 2020.
Tutte operazioni, queste, a tutela delle banche con cui il gruppo è esposto ma non, parrebbe, del servizio offerto agli utenti o dello Stato che vede garantito il suo credito di 180 milioni – per due terzi già dovuto e non riscosso – proprio dalla flotta del gruppo. E i giudici milanesi confermano questa attenzione sbilanciata sul saldare il debito bancario anche nel dare riscontro positivo dell’anticipazione indicata da Ilfattoquotidiano.it che l’operazione di vendita dei due traghetti Moby Aki e Moby Wonder a DFDS – motivo scatenante dell’azione legale dei fondi – è stata effettuata proprio dopo l’avallo delle banche, “a patto di assorbire (queste, ndr) l’80% del ricavato”.
Benché quindi il Tribunale di Milano abbia rigettato l’istanza concorsuale avanzata dai fondi internazionali, le motivazioni espresse nel decreto definiscono che effettivamente il gruppo Onorato persegue al momento una gestione che necessita di “monitoraggio”. Tuttavia la controllante Onorato Armatori srl, per mezzo di un comunicato ufficiale, ha tenuto a chiarire che “sta valutando la proposizione di un’azione giudiziaria nei confronti di Soundpoint e degli altri fondi speculativi ricorrenti per ottenere il risarcimento dei danni causati dalla loro azione”. Perché, in sostanza, si erano legittimamente spaventati, ma forse troppo e troppo presto. E quindi, per aver chiesto ora il fallimento di Moby spa sono stati intanto condannati dai giudici al pagamento delle spese processuali: 6mila euro più Iva.
“È evidente però – scrive il Tribunale di Milano – che il gruppo, e non solo la Moby, avrebbe necessità di monitoraggio e di ricorrere a strumenti di superamento della crisi”. Una frase che potrebbe suonare come un campanello d’allarme per il ministero dello Sviluppo Economico considerato il tenore dell’interlocutore, la posta in gioco occupazionale (circa 5mila dipendenti) e l’ingente credito finora non riscosso dallo Stato per la vendita della good company dell’ex pubblica Tirrenia.