“Non credo nel mito dell’estero. Penso che a farmi arrivare dove sono ora sia stata la mia forma mentis. Nessuno fuori dall’Italia ti garantisce di sfondare“. Alberto Seghizzi ha 29 anni, è un ingegnere aerospaziale e dal 2015 vive in giro per il mondo. Passando per l’Australia e la Francia, nel novembre 2017 è approdato a Londra. Oggi, a soli quattro anni dalla laurea magistrale, guida un team internazionale di 20 persone come project manager, gestendo budget di alcuni milioni di euro. Un traguardo, dice, che “non avrei mai raggiunto in Italia in così poco tempo”.

Nel 2009 Alberto si iscrive alla Facoltà di ingegneria aerospaziale di Bologna con sede a Forlì. “Avevo una grande passione per il mondo ingegneristico, anche se da piccolo volevo sognavo di fare lo scrittore”, racconta sorridendo. Alberto, di origine modenese, dopo il titolo triennale decide quindi di proseguire gli studi magistrali al Politecnico di Torino, una delle facoltà più all’avanguardia del settore. “Qui ho avuto la possibilità di partire per la prima volta – spiega .- Nel 2015 ho vinto una borsa di studio di sette mesi e mezzo in Australia per scrivere la tesi e ho ricevuto la prima offerta: un dottorato di ricerca”. La vita dall’altra parte del mondo però non è sempre semplice e soprattutto ad Alberto manca l’Europa. Così decide di tornare a casa e, dopo la laurea, di iniziare a cercare lavoro. Da neolaureato magistrale con il massimo dei voti fa alcuni colloqui in Italia ma nessuna offerta era all’altezza di quella ricevuta dall’azienda francese per la quale, dopo aver superato ben quattro selezioni, lavora tutt’oggi. “E pensare che mi hanno ‘trovato’ tramite il sito del Politecnico“, racconta Alberto, spiegando che spesso le aziende estere fanno recruiting anche così, semplicemente guardando sul sito delle università più prestigiose per il settore di competenza.

“In Italia mi hanno subito offerto un indeterminato più o meno attorno ai mille euro al mese. Promettevano scatti di anzianità ma non ho mai esplorato la possibilità perché poco dopo mi ha chiamato la multinazionale per cui lavoro ancora oggi per un’opportunità in Costa Azzurra“, racconta ancora Alberto, spiegando che le differenze fin dall’inizio sono state molte. “Ammetto di non aver mai lavorato in Italia – dice ancora – ma dopo aver vissuto in quattro paesi (Italia compresa) posso dire che le differenze ci sono, eccome”. La carriera dell’allora 26enne inizia infatti nel 2016 nella sede di Sophia Antipolis, in provincia di Nizza come “ingegnere puro”. “Ma dopo soli sei mesi mi hanno promosso a project manager. E poi dopo un anno e sette mesi, a novembre 2017, ho avuto la possibilità di spostarmi a Londra dove seguo la mia passione, cioè progetti tecnici in campo aeronautico”. E proprio la valutazione delle competenze, con la relativa possibilità di crescita, è quello che manca in Italia, secondo Alberto. “Per non parlare del gap salariale“, aggiunge.

Non tutto però dipende da quello che manca in Italia perché a contare tanto “è la forma mentis con cui ti approcci all’estero”. “In Italia probabilmente non avrei mai avuto le responsabilità che ho ora – spiega -. Ma non è mai stato all’estero chi crede che andarsene equivalga a sfondare. Il fatto di avere successo dipende comunque dall’azienda e soprattutto da te. Conosco italiani che sono qui da dieci anni, ma rimangono sempre nella stessa posizione. Certo l’Italia è più ferma e c’è una valutazione diversa della seniority, ma non dipende solo da quello”.

Andarsene, in ogni caso, non è stato semplice. “Mi mancano la cultura e la mia famiglia, ma lavoro in un ambiente internazionale e noto che tutto questo vale anche per altri colleghi – racconta Alberto -. In pausa pranzo si va spesso con persone della stessa nazionalità. Di sicuro è diversa la qualità della vita, ma io non sono in fuga dal mio Paese”. Anche a parità di stipendio, però, Alberto non tornerebbe, anche perché il suo lavoro gli permette di viaggiare e “aprirsi a culture diverse”. “Dopo tanti anni lontano da casa mi sento arricchito. Penso che il viaggio sia una condizione fondamentale per sviluppare questo processo di apprendimento, anche se per aprirsi al mondo serve comunque una certa predisposizione. Lo dimostra il fatto che guido un team di persone provenienti da diversi i paesi del mondo e io sono il collante che deve far comunicare tutti”.

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