Il settimanale pubblica un documento su carta intestata della società Eni Trading & Shipping: è la centrale di Londra che gestisce gli acquisti petroliferi della multinazionale italiana. Quella missiva è una "referenza commerciale per Euro-Ib"ed è firmata da Alessandro Des Dorides. Lo stesso manager che poi l'azienda ha licenziato. La società del cane a sei zampe smentisce
Gianluca Savoini e gli altri presenti all’hotel Metropol di Mosca avevano un rapporto diretto con un manager di una società dell’Eni. Lo sostiene il settimanale l’Espresso, pubblicando documenti inediti che aggiungono un nuovo pezzo alla storia dei presunti fondi russi per finanziare la campagna elettorale della Lega. Una vicenda oggetto di un’inchiesta della procura di Milano, che indaga per corruzione internazionale.
La storia è ricostruita dall’ormai noto audio pubblicato da Buzzfeed. Il 18 ottobre 2018 all’hotel Metropol ci sono sei persone: tre russi, tutti legati al mondo di Vladimir Putin. E tre italiani: Savoini, l’uomo di Matteo Salvini per gli affari a Mosca, l’avvocato Gianluca Meranda e il consulente finanziario Francesco Vannucci. I tre italiani sono oggi indagati per corruzione internazionale. I sei discutono di una compravendita di gasolio da 1,5 miliardi. A venderlo sarebbe stata una società russa (Gazprom o Rosneft), mentre a comprarlo doveva essere l’Eni, dopo un passaggio intermedio con una banca d’affari londinese. Quel passaggio doveva fruttare un guadagno: “il 4 percento del prezzo pagato dall’Eni”, come scrivono i giudici di Milano, doveva servire a “finanziare la campagna elettorale per le europee della Lega”. Ipotesi sempre smentita dall’azienda del cane a sei zampe e anche dal partito di Salvini.
Il guadagno, in questo caso, però doveva fruttare grazie al trading: l’Eni avrebbe comprato il carburante da un intermediario e non direttamente dal venditore, cioè i russi. L’intermediario avrebbe trattenuto una percentuale. Se la mediazione fosse stata reale, la compravendita era lecita. In caso contrario, invece, si sarebbe trattato solo di un trucco per dirottare denaro alla società mediatrice. È questo quello che – secondo gli inquirenti – doveva succedere tra Savoini e i russi. Nell’affare del Metropol la società intermediaria doveva essere luna piccola banca d’affari inglese, la Euro-Ib, per la quale lavorava Meranda. Nella trattativa con i russi, gli italiani precisano che “il compratore” è una società del gruppo Eni, impersonata da “gli amici di Londra”. “Il venditore” sarà “una società statale russa”: Rosneft o Gazprom. E “in mezzo ci sono altri due soggetti”, che fanno solo da mediatori: uno è “la banca che compra”, in pratica la stessa Euro-Ib, l’altro una società indicata dai russi.
A un certo punto, però, la trattativa si ferma: nel febbraio 2019 Gazprom chiede chiarimenti perché Euro-Ib non è una società petrolifera, ma “solo una banca d’affari”, e “non ha indicato le sue strutture logistiche”. Savoini allerta Meranda che risponde a stretto giro spiegando che Euro-Ib ha “una specifica licenza pubblica inglese per trattare prodotti petroliferi“. E poi che “compra per rivendere all’Eni, che ha tutte le infrastrutture logistiche necessarie“. A allega una lettera “strettamente confidenziale”, ora pubblicata da Paolo Biondani sull’Espresso.
Si tratta di un documento su carta intestata della società Eni Trading & Shipping: è la centrale di Londra che gestisce gli acquisti petroliferi della multinazionale italiana. Quella missiva è una “referenza commerciale per Euro-Ib“: datata 23 maggio 2017 è firmata da Alessandro Des Dorides. In quel momento si tratta del numero due del settore trading che legge: “Confermiamo che Euro-Ib ha trattato con noi in numerose occasioni e ha condotto i suoi affari con noi in maniera professionale e affidabile”.
“La lettera citata nell’articolo, che l’Espresso associa nell’articolo a rapporti che Eni/ETS avrebbe intrattenuto con la banca Euro-IB, è invece una mera lettera di referenza generica, risalente a maggio 2017 (cioè ben un anno e mezzo prima del periodo oggetto della vostra inchiesta), riflette una dichiarazione imputabile a chi l’ha sottoscritta (Alessandro Des Dorides), non trovando alcun reale riscontro nelle attività commerciali effettive di Ets. Tale lettera non certifica pertanto in alcun modo la conclusione di operazioni commerciali con Euro-IB e nemmeno la sussistenza di interazioni ricollegabili alla vicenda oggetto dell’articolo”, dice la società energetica italiana nella replica inviata al settimanale. E infatti Des Dorides – che nei mesi successivi alla firma di quella lettera era stato promosso a capo dei trader a Londra – è stato di recente licenziato in tronco: Eni, infatti, lo accusa di frode contrattuale. Ma per una vicenda che nulla a che fare con Savoini visto che Eni ripete di “essere estranea a qualsiasi operazione di finanziamento a partiti politici. Peraltro, l’asserita operazione di fornitura, oggetto di indagine, non è mai avvenuta. Eni specifica altresì di essersi formalmente dichiarata parte offesa nell’ambito del procedimento in essere nei confronti di chiunque abbia associato Eni ad ipotesi di illecito, con particolare riferimento al finanziamento illecito dei partiti”.
Da manager di Eni Trading & Shipping Des Dorides non ha firmato solo quella lettera alla banca dove lavorava Meranda. Si è anche occupato di un affare delicato e cioè i 25 milioni di euro versati da Eni Trading & Shipping a una società petrolifera, Napag Italia. Una società che secondo l’accusa è riferibile a Piero Amara, l’ex avvocato dell’Eni, finito sotto inchiesta da tre procure diverse per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di magistrati. Lui stesso ha raccontato di aver inventato un sistema, il “sistema Siracusa“, che serviva a truccare inchieste e processi pagando mazzette. È anche l’uomo che si autoaccusato del clamoroso falso complotto Eni, cioè quell’indagine fasulla su un inesistente disegno occulto ai danni dell’ad Eni Claudio Descalzi. Una trama che serviva per depistare le indagini di Milano sulla maxi tangente nigeriana. Una depistaggio che – secondo quanto sostiene – avrebbe architettato da solo.
Proprio nel 2018, mentre Amara è in carcere ecco che alla Napag arriva quel maxi bonifico da 25 milioni dalla controllata Eni. Secondo gli investigatori si tratta di una tangente dall’azienda petrolifera al suo ex avvocato, affinchè tenga chiusa la bocca. Ipotesi ovviamente smentita da tutti i personaggi di questa storia. La Napag “smentisce categoricamente che l’avvocato Amara abbia alcuna partecipazione diretta o indiretta nelle società del gruppo”. Eni dice di “non aver effettuato alcuna dazione di denaro al Sig. Piero Amara attraverso la società Napag. ETS (Eni Trading and Shipping) ha concluso con Napag un’operazione commerciale del valore di 25,8 milioni di euro. L’operazione si è conclusa con il conseguimento di un utile economico da parte di Ets. La rilevanza di tale operazione attiene alla violazione di norme e procedure interne, ma certamente non costituisce una dazione a Napag (e men che meno al Sig. Piero Amara). È proprio grazie all’accurato sistema di controlli di Eni che è stato possibile riscontrare che il greggio della nave White Moon era di qualità differente rispetto a quello ordinato dalla compagnia, il che ha comportato l’immediato rifiuto della fornitura”. Insomma: è per la violazione di norme interne che sarebbe stato silurato Des Dorides. Lo stesso manager che aveva sponsorizzato la Euro-Ib, la banca inglese dei soldi alla Lega e ai russi.