Pochi italiani lo hanno saputo – la notizia è passata in sordina – ma nell’aprile dello scorso anno la Corte costituzionale, con la sentenza n. 120/2018, ha finalmente cancellato l’anacronistico divieto di sindacalizzazione delle Forze armate. Questo significa che i militari hanno vissuto, per settant’anni, in una condizione di incostituzionalità di fatto, sebbene l’art. 52 della Carta del 1947 fosse molto chiaro: “L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”.
Ebbene, oggi, a più di un anno da quella storica sentenza, la strada appare ancora in salita. Mentre manca inspiegabilmente un dibattito pubblico sul tema, è all’esame della Commissione Difesa della Camera dei deputati una proposta di legge che rischia di vanificare la sindacalizzazione, limitando eccessivamente i poteri delle organizzazioni sindacali e ponendole in qualche modo sotto il controllo dei vertici militari.
Per fare un esempio delle regole bizzarre che si stanno escogitando, nel testo si prevede che i sindacati possano essere costituiti solo dopo l’autorizzazione del ministro: come se la Fiom, per nascere, avesse avuto bisogno del consenso della Fiat! Si tratterebbe evidentemente di una norma incostituzionale, perché in netto contrasto con l’art. 39 Cost., secondo il quale “l’organizzazione sindacale è libera” e “ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione”. È inaccettabile poi che il ministro possa sciogliere il sindacato che metta in pericolo la “coesione interna”, locuzione così evanescente da prestarsi facilmente ad abusi: il sindacato più battagliero potrà essere soppresso in un batter d’occhio con un provvedimento ministeriale (sic!). Eppoi ci sono le materie di cui potranno occuparsi i sindacalisti militari: tutte le “materie di interesse del personale”, a eccezione dell’ordinamento, dell’addestramento, delle operazioni, del settore logistico-operativo, del rapporto gerarchico-funzionale e dell’impiego del personale. Così tesserarsi a un sindacato sarà più o meno come tesserarsi a un circolo bocciofilo…
Dunque, è comprensibile che ci possano essere poteri forti che remano contro la sindacalizzazione: difendono privilegi e perseguono interessi che hanno poco a che fare col bene comune. Ma alle forze migliori di questo Paese non devono sfuggire i benefici che potrà trarre la collettività da questo, seppur tardivo, processo di democratizzazione del mondo militare. I sindacati, se non si trasformeranno in “corporazioni” (o in “sindacati gialli”), potranno dare un significativo contributo all’efficienza dell’organizzazione: il militare più tutelato, più motivato e più preparato lavorerà meglio. Una maggiore difesa dei diritti sociali e civili dei lavoratori in divisa si tradurrà in più sicurezza per i cittadini, potrà fortificare i presidi sul territorio, incrementare la qualità delle indagini di polizia giudiziaria, combattere con più forza le mafie e la criminalità economica. La sindacalizzazione contribuirà poi, sul fronte interno, a contrastare il clientelismo, la corruzione e ogni forma di privatizzazione della funzione pubblica. La causa dei sindacati militari non è solo la causa dei militari, ma serve gli interessi dell’intera società.
Per questo, è auspicabile che le forze progressiste di questo Paese si impegnino a fondo perché non venga approvata una disciplina palesemente inadeguata, perché il legislatore non tradisca ancora una volta la nostra preziosa Carta fondamentale. Michele Ainis ha proprio ragione: “In Italia, la rivoluzione più dirompente sarebbe applicare la Costituzione”.