Per anni la sua identità è stata un mistero, poi i militari dell'Arma sono riusciti ad associarlo a una serie di numeri telefonici e false generalità sui social network
Si definiva “il più grande scafista di tutto il governatorato di Tunisi” e voleva attivare una rotta diretta per portare i migranti a San Vito lo Capo (Trapani). “Non ci ha pensato mai nessuno ma io ti dico che funziona, l’ho fatto”, diceva. I carabinieri del Ros lo hanno rintracciato in Germania, dove si nascondeva per sfuggire a un mandato di arresto europeo disposto a gennaio dal gip di Palermo in seguito al blitz Abiad. Si tratta di Aymen Fathali, tunisino di 33 anni ricercato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di migranti e tabacchi lavorati (sigarette), aggravato dall’essersi sottratto a un primo ordine di cattura. È accusato dalla Dda di Palermo di far parte di una rete che organizzava “traversate di ristretti gruppi di cittadini tunisini dalle coste maghrebine a quelle trapanesi, attraverso trasporti off-shore, capaci di garantire trasferimenti rapidi”, trasportando migranti e sigarette. Nell’operazione Abiad scattata il 9 gennaio inoltre emergevano alcuni episodi di proselitismo jihadista, perpetrato sui social da uno dei 15 indagati. Alla fine ne furono arrestati otto, gli altri avevano già fatto perdere le loro tracce.
Tra questi anche Aymen Fathali che al telefono è stato intercettato mentre parlava di “gente che ha fatto un colpo, è ricercata e deve tornare indietro” e secondo le indagini è uno dei fedelissimi di Mongi Ltaief, presunto capo del gruppo che il giorno del blitz invece venne arrestato. Si trovava in libertà da appena 19 giorni, dopo l’assoluzione di primo grado del 21 dicembre 2018 “per non aver commesso il fatto” (la Procura non presentò ricorso in Appello) nel processo scaturito dall’operazione Scorpion Fish. Da allora è detenuto nel carcere di Agrigento e si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere.
“Sedici volte sono tornato in Tunisia, all’incirca sedici volte, aspetta che ti racconto una cosa così capisci, sedici volte sono andato e sono tornato”, spiegava Fathali al fratello riferendosi ai viaggi fatti per attraversare le poche miglia che separano le coste tunisine all’Italia. Per anni la sua identità è stata un mistero, poi i militari dell’Arma sono riusciti ad associarlo a una serie di numeri telefonici e false generalità sui social network. Le sue sim erano intestate ad altre persone e al telefono discuteva di traffici, barattoli, bicchieri o pezzi ma si riferiva a sigarette e migranti. Parlando con un altro degli arrestati chiedeva: “Ma tu, hai un giocatore lì nel paese?”. Il suo telefono era un piccolo centralino. “Vogliono venire 4/5 persone” e lui era disponibile, “sono a Trapani, poi vienimi a trovare dopo”: la tariffa era di “7000/8000 dinari“. “Ah Imed, in Tunisia, l’ho riportato a casa, ha un problema – raccontava – ha fatto un colpo qui e se ne tornato a casa”, mentre quando si trattava di arrivare in Italia “sistemo tutto con i broker e lo portiamo”.
Il business più consolidato era quello delle sigarette. Che spesso finivano al mercato di Ballarò. “È un uomo dell’organizzazione, di riferimento di Mongi per la città di Palermo in quanto conosce benissimo la città”, disse Marouan Ben Said (detto Marwen), arrestato in un altro blitz. “Abita e lavora per conto di Mongi – ha aggiunto ai pm – che lo utilizza per commercializzare la cocaina e incassare il denaro. È anche il venditore delle sigarette di contrabbando nella città di Palermo che è solito trasportare dentro valigie o autovetture”. E infatti gli investigatori lo hanno ascoltato mentre trattava delle casse di sigarette “blu o rosse” (“due casse di quelle rosse a novecento euro”) destinate alla piazza palermitana attraverso un tale Salvatore Sutera, arrestato anche lui nel blitz Abiad.
L’indagine si è prolungata dal 2016 al 2018 e durante il monitoraggio i militari dell’Arma hanno tracciato la fuga di Aymen Fathali. Nell’aprile 2017 fu intercettato a Napoli mentre ritirava dei documenti falsi e al telefono confessava “il desiderio di spostarsi all’estero e segnatamente in Germania” chi gli consigliava di spacciarsi per un appartenente della tribù dei Twareg e “trasferirsi in Belgio, passando prima da Milano e Parigi, per via dei problemi che l’indagato asseriva di avere con la polizia italiana”. Poi dall’analisi del traffico telefonico si è ricostruito che aveva lasciato il paese fino a giungere al confine di frontiera della Liguria e del Trentino Alto Adige. Recentemente programmava di lasciare la Germania, verso la Francia o il Belgio. Ma adesso attenderà in carcere gli sviluppi dell’indagine palermitana.