Se fossi un cliente Unicredit con disponibilità sul conto corrente superiori a 100mila euro, trasferirei tutto o comunque la parte eccedente la cifra summenzionata presso un’altra banca. Perché sono italiano e sono figlio di Guicciardini.
Se dovessi invece esaminare da analista la decisione strategica di Mustier, amministratore delegato di Unicredit, di applicare i tassi negativi sui conti dei clienti con saldi di almeno 100mila euro potrei ribadire, contrariamente a quanto negli ultimi giorni l’opinione pubblica sostiene, che non ci vedo nulla di strano. Per comprendere la portata di questa apparente sequenza hegeliana occorre semplificare alcuni concetti di gestione di un’azienda bancaria che probabilmente neppure i media hanno afferrato fino in fondo. Seguitemi.
Le banche possono accantonare gli eccessi di liquidità (in soldoni, la differenza tra ciò che raccolgono e ciò che prestano) presso la Banca centrale europea. Molti operatori economico-finanziari e associazioni di imprese hanno fortemente criticato la politica dei depositi presso la Bce. Questo perché le banche hanno ottenuto grande liquidità da parte dell’Istituto centrale affinché riaprissero i rubinetti del credito a famiglie e aziende, ma sfortunatamente non è avvenuto quello che ci si aspettava.
Per tale motivo – e quindi per incentivare le banche a prestare danaro – i tassi deposito sono virati al negativo. Vale a dire che le banche che scelgono di depositare gli eccessi di liquidità presso la Bce riceveranno poi una somma minore di quella iniziale. Tuttavia taluni istituti di credito, tra cui Unicredit, preferiscono anche questa opzione piuttosto che l’impegno verso operazioni più rischiose.
Unicredit, che al 30 giugno 2019 aveva 453.019 milioni di euro di depositi della clientela (già in calo del 5,4% rispetto al dato del 31 dicembre 2018), ha ben pensato di trasferire il costo dei tassi negativi alle grandi imprese o a certi grandi clienti, sicuramente consapevole che tale manovra comporterà una ulteriore e probabilmente sostanziale riduzione delle masse raccolte. Né più né meno di ciò che fa qualsiasi imprenditore quando scarica l’aumento dei prezzi della materia prima sul prezzo del prodotto finito da proporre ai propri clienti. Perché scandalizzarsi?
Piuttosto chiediamoci cosa potrebbe esserci dietro una tale decisione strategica, al momento unica nel panorama del nostro sistema bancario e, come abbiamo visto, particolarmente rischiosa. Nulla di più coerente con quanto negli ultimi tempi Mustier ha esplicitamente dichiarato. Basta solo mettere insieme (e non dimenticarsene) i pezzi del puzzle e lo scenario è chiaro. Ogni amministratore – non sempre un genio – di azienda ragiona in questi termini. Discorso semplice, quasi banale: ogni banca è come un’azienda, dunque per chiudere in utile il rapporto tra ricavi e costi deve essere positivo.
Per essere positivo o i miei ricavi superano i costi, oppure, rendendomi conto che non posso aumentare i ricavi, taglio i costi scaricandoli sui clienti. L’obsolescenza (manageriale, tecnologica, culturale) che avvolge il sistema bancario fa sì che ci si trovi di fronte alla seconda opzione. Mancano le capacità di business e manageriali per fare ricavi, dunque si tagliano i costi. Questa strategia di opportunità è stata vista da Mustier già da tempo.
Si trova nella condizione di dover necessariamente fare un trade-off economico. Costa di più un euro di “sofferenza” per un prestito andato male o un euro di raccolta persa? Sicuramente il primo!
Arriviamo quindi all’obiettivo primario di Mustier: ripulire completamente Unicredit, renderla leggera e arrivare finalmente a una fusione con un altro gruppo bancario, ad oggi impossibile. E che probabilmente parla francese.