Asmaa Youssef, 23 anni, dopo il liceo si è laureata in Canada, prima di ritornare in Italia e iscriversi a un master. Ora lavora a Dubai, in un'azienda che organizza incontro di boxe in tutto il mondo. "Ai colloqui in Italia mi chiedevano da dove venissi e pochi secondi dopo il mio curriculum era già nel cestino. Quando lo racconto molte persone non ci credono"
“Amo l’Italia, è il mio Paese, ma non puoi essere italiana se hai un nome straniero e se sei musulmana“. Asmaa Youssef, 23 anni, nata e cresciuta in Italia da una famiglia di migranti – madre marocchina, padre egiziano e nonna di origini siriane – non si è mai sentita davvero italiana. Eppure lo è: la cittadinanza l’ha richiesta e ottenuta a diciotto anni. Così l’identità che non le ha dato l’Italia, e il suo piccolo paese in provincia di Como, Veniano, la trova a Dubai, dove da più di un anno lavora come manager per un’azienda che organizza incontri di boxe in giro per il mondo. Una società che fa da sponsor e procura agenti ai pugili, li prepara ai ring più importanti, inclusi quelli olimpici. Asmaa è la responsabile amministrativa e organizzativa degli incontri in Medio Oriente e Nord Africa. “Qui sto costruendo la mia carriera. Mi piace vivere in una città multietnica: arabi, musulmani, europei e americani convivono insieme. Questo mi ha convinta a lasciare l’Italia. In futuro non voglio che i miei figli si sentano dire ‘torna al tuo paese’, ‘musulmano terrorista’ o ‘negra’”.
Questi insulti Asmaa se li è sentiti ripetere spesso durante la sua adolescenza, discriminata per le origini della sua famiglia: “Alle elementari nessuno ha pronunciato bene il mio nome e, anziché domandarmi come si dicesse correttamente, preferivano sfottermi. Alle medie ero brava, me la cavavo discretamente. In quegli anni ho scoperto l’amore per la letteratura e le lingue straniere”. Quindi inizia a pensare di emigrare. “Un’insegnante dopo il mio quattro in geometria mi disse: ‘Tu non andrai lontano’. Devo ringraziarla, da queste parole è nata la mia voglia di riscatto. Ero pronta a dimostrarle che io non volevo andare lontano, io sarei andata molto oltre“. Asmaa la prende alla lettera: dopo il liceo vola prima in Canada e poi a Dubai. Qui il suo nome lo pronunciano correttamente, o almeno ci provano.
“Cercavo qualcosa di nuovo. Di insolito, difficile. Vivere in un altro continente, trovarsi da un giorno all’altro a novemila chilometri di distanza da casa non è semplice. Ma se tieni ben saldo l’obiettivo ne vale decisamente la pena”. Il primo è la laurea in Economia internazionale a Vancouver, poi il master in International entrepreneurship all’università Bicocca di Milano. L’ultimo, un lavoro a Dubai. “Prima di salire sull’aereo – continua Asmaa – ho cercato lavoro in Italia per 5 mesi. Con tante difficoltà. Quando mi presentavo a un colloquio di lavoro, appena leggevano il mio nome si bloccavano. Mi chiedevano da dove venissi e pochi secondi dopo il mio curriculum era già nel cestino. Quando lo racconto molte persone non ci credono”.
E precisa: “Voglio un lavoro degno dei miei studi, ma soprattutto voglio rispetto. Facciamo fatica ad averlo noi figli di genitori stranieri”. La ricerca del lavoro a Dubai, invece, è stata tutt’altra cosa: “Prima di tutto ti accolgono. Qui se hai una laurea e un master superi già gli altri candidati. E una volta che capiscono che sei seria ti assumono e con uno stipendio che ti permette non di sopravvivere, ma di vivere. In Italia, società multinazionali mi hanno offerto massimo mille euro. Come fai ad arrivare a fine mese con questa cifra? E se hai passato pure anni sui libri, uno stipendio di questo tipo fa sorridere”.
A funzionare meglio non è solo il mondo del lavoro. Nella città degli Emirati è impossibile perdere qualcosa: “Qui c’è un detto: ‘Se sei a Dubai non puoi perdere nulla’. Nulla di più vero. Ci sono telecamere ovunque, anche in spiaggia. Sul tetto della volante della polizia ci sono apparecchi tecnologici in grado di vedere se in macchina hai la cintura di sicurezza o no”. E la giustizia di Dubai non perdona: “Questo è un bene. Fino ai 21 anni non puoi entrare in nessun bar e soprattutto non si bevono alcolici. Se ti beccano ubriaco alla guida la patente finisce nel cestino e finisci in carcere. Per non parlare di casi di molestia sessuale. Il denunciato viene arrestato e processato immediatamente, non come in Italia. Per questo è una delle città più sicure al mondo”. Ma in alcuni settori il nostro Paese batte la “città dei record”: “Quello che manca sono sanità e istruzione per tutti. Qui gli stranieri pagano un’assicurazione sanitaria al mese, così come le scuole. Per non parlare dello stipendio minimo. Non esiste. Si differenzia in base agli studi fatti e alle decisioni prese dalla tua azienda”.
Sogna il rientro in Italia Asmaa, per tornare e vivere vicino alla famiglia. Ma non a queste condizioni: “Appena il mondo del lavoro e la considerazione per noi stranieri cambieranno, sarò la prima a prendere l’aereo di ritorno. Fino ad allora, resto a Dubai“.