Le ceneri andavano divise e solo in parte avrebbero potuto essere vendute per fare il cemento. Invece quelle provenienti dalla combustione del carbone venivano miscelate anche alle “scorie” dell’olio denso e del gasolio per poi essere cedute alla Cementir che produceva il calcestruzzo. In questo modo, la società otteneva un ingiusto profitto e risparmiava sullo smaltimento. Con questa accusa il pm Milto Stefano De Nozza della Dda di Lecce ha chiesto il rinvio a giudizio 11 manager di Enel, 7 manager della Cementir (ora Cemitaly) di Taranto e le due società per illecito amministrativo. I reati ipotizzati sono traffico illecito di rifiuti e attività di gestione dei rifiuti non autorizzata.

Al centro dell’inchiesta c’è il modus operandi dei dirigenti della centrale Enel di Cerano, alle porte di Brindisi. Secondo la ricostruzione fornita dai finanzieri guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci, quelle 2,5 tonnellate di ceneri contenevano anche sostanze pericolose come ammoniaca, nichel, vanadio e mercurio. E quindi era necessario smaltirle. Invece, venivano mescolate ai residui ‘buoni’ della combustione per la vendita e cedute al cementificio del capoluogo jonico. Nel settembre 2017, l’inchiesta portò al sequestro con facoltà d’uso dell’impianto di Brindisi, dello stabilimento Cementir e di una porzione di terreni dell’ex Ilva, tutti poi dissequestrati. La posizione dell’acciaieria, al momento, è stata stralciata.

La Dda di Lecce ha invece chiesto il rinvio a giudizio 11 dirigenti di Enel Produzione per aver effettuato, tra il 2011 e il 2017, “attività non consentite” di “miscelazione di rifiuti, anche pericolosi” derivanti dall’abbattimento dei fumi di combustione della centrale Federico II di Brindisi. Oltre che per aver gestito “abusivamente” ingenti quantitativi di rifiuti” al fine di “conseguire un ingiusto profitto” ad Enel “in termini di risparmio dei costi di smaltimento delle scorie di produzione”. Un profitto “ingiusto” che viene calcolato in 523.326.050 euro, pari alla spesa che – secondo la procura – la società elettrica “avrebbe dovuto sostenere per lo smaltimento”.

Rischiano di finire a processo Giovanni Mancini, Enrico Viale, Giuseppe Molina, Paolo Pallotti, Luciano Mirko Pistillo, Antonino Ascione, Francesco Bertoli, Fausto Bassi, Giovanni Mercenaro, Fabio De Filippo e Carlo Aiello. Con accuse simili rischiano il processo anche 7 manager dell’ex Cementir: il rappresentante legale Mauro Ciliberto, gli ex direttori degli approvvigionamenti Giuseppe Troiani e Mauro Caminiti, gli ex direttori dello stabilimento di Taranto della Cementir Mauro Ranalli, Leonardo Laudicina, Paolo Graziani e l’attuale direttore Vincenzo Lisi.

Secondo la procura, si legge nei capi d’imputazione, quelle ceneri – come aveva sostenuto il perito durante l’indagine, condotta dai pm Alessio Coccioli e Lanfranco Marazia – “per i connotati fisici esposti (…) erano costituiti da rifiuti privi di requisiti atti al recupero nel ciclo produttivo del cemento”. In sostanza, stando all’accusa, il rischio era la “decalcificazione del calcestruzzo” e la “perdita di resistenza meccanica” per la presenza dei residui della combustione di olio denso e gasolio. Insomma: un cemento meno resistente. Come aveva appurato Ilfattoquotidiano.it, tra l’altro, la stessa tipologia di ceneri era stata venduta anche alla Colacem di Galatina, all’Italcementi di Matera e fuori dall’Italia.

Enel Produzione, contattata da Ilfattoquotidiano.it, replica che “la costruzione della pubblica accusa e dei suoi consulenti” è stata “chiaramente confutata dai periti indipendenti, nominati dal gip su richiesta della stessa procura, dopo mesi di rigorosi accertamenti svolti nel corso dell’incidente probatorio”. La società aggiunge che “i periti hanno confermato la correttezza della qualificazione e la non pericolosità delle ceneri” e quindi “la possibilità del loro impiego nella produzione del cemento”.

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