Dall'operazione del nucleo investigativo di Catanzaro, coordinato dal procuratore capo Nicola Gratteri, è emerso come la cosca agiva nel mercato legale infiltrandosi nei settori dell'edilizia, del movimento terra e del commercio all'ingrosso di legname, mentre nel mercato illegale gestiva piazze di spaccio
Dopo dieci anni il duplice omicidio di Giuliano Cortese, 48 anni, e della sua compagna Inna Abramovia, di 35, di nazionalità ucraina, uccisi a Chiaravalle Centrale, in provincia di Catanzaro, ha dei colpevoli. A fare luce sull’accaduto è stata l’inchiesta, durata tre anni e condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro, che lunedì mattina ha portato all’arresto di 17 persone tra presunti capi e affiliati alla cosca Iozzo-Chiefari fedele a quella dei Gallace di Guardavalle. Era il 27 aprile 2009 quando l’auto con a bordo Cortese e la moglie è stata crivellata da colpi di arma da fuoco poco distante dalla scuola materna dove la coppia aveva appena lasciato le due figlie piccole. Il duplice omicidio, secondo gli inquirenti, è da ricondurre a regolamenti interni all’organizzazione criminale, così come un tentato omicidio avvenuto nel 2005 sempre nel comune di Chiaravalle Centrale.
L’operazione del nucleo investigativo di Catanzaro, coordinato dal procuratore capo Nicola Gratteri, dagli aggiunti Vincenzo Capomolla e Vincenzo Luberto e dal pm Debora Rizza, ha svelato le attività e l’organizzazione della cosca Iozzo-Chiefari, che agiva sui territori di Torre di Ruggiero, Chiaravalle Centrale, Cardinale e aree limitrofe. Secondo l’accusa, la cosca si infiltrava nei settori dell’edilizia, del movimento terra e del commercio all’ingrosso di legname. Non solo: si “aggiudicava” i subappalti per la realizzazione di opere pubbliche, anche di rilevante entità come la strada statale “Trasversale delle Serre” e le opere legate alla festa patronale di uno dei paesi. Ad alimentare la famiglia di ‘ndrangheta erano anche i proventi illeciti delle piazze di spaccio di marijuana e cocaina. Gli affiliati agivano sul territorio con metodo mafioso: avevano la disponibilità di numerose armi, anche da guerra, e avevano generato nella popolazione locale uno stato di soggezione con conseguenti manifestazioni di omertà e accondiscendenza.
I 17 indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, omicidio, tentato omicidio, coltivazione e spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi, estorsione, ricettazione e altro.