Il mezzo passo indietro c’è stato, ma le acque nel Pd romano (e non solo) sono ancora agitate. Due semplici frasi come “a Roma stiamo all’opposizione” e “no a un altro sindaco come Raggi” rappresentano il tentativo operato lunedì mattina da Nicola Zingaretti di mettere una pezza al pasticcio combinato venerdì sera, quando alla trasmissione Otto e Mezzo di La7 dal segretario nazionale dem (e presidente della Regione Lazio) si è lasciato scappare che “Virginia Raggi non dovrebbe dimettersi come chiede Salvini ma dovrebbe affrontare con più decisione i temi irrisolti”. “Questa vicenda di Roma è totalmente inventata”, ha provato a smentire il numero uno del Nazareno, affermando che nella Capitale “il Pd è impegnato per costruire l’alternativa e ridare finalmente a questa città una squadra efficiente”.

Il M5s lavora al Raggi-bis. I dem: “Una bestemmia”
Ma l’equivoco resta. E non è di poco conto. Sabato e domenica i dem romani si ritroveranno con i banchetti in diverse piazze romane al grido di “basta Raggi”, che è un messaggio diverso rispetto a “via Raggi” o “Raggi dimettiti”. Quasi una forma di rispetto per l’alleato di governo e possibile alleato alle amministrative, che nel frattempo – come anticipato da Ilfattoquotidiano.it il 26 settembre scorso – sta ragionando seriamente di proporre la ricandidatura civica dell’attuale titolare di Palazzo Senatorio. “Una bestemmia” a sentire consiglieri comunali e regionali del Pd, che nei problemi che attanagliano ancora la città, specie su rifiuti e trasporti, intravedono il “fallimento” della sindaca. Anche se la valutazione ricorda da vicino il “no forte e chiaro” a Giuseppe Conte urlato dai collaboratori dello stesso Zingaretti ai cronisti nei giorni che precedettero l’investitura dell’attuale premier per il bis a Palazzo Chigi.

Mozione anti-Raggi in direzione
Fatto sta che mercoledì pomeriggio, in una riunione della direzione del Pd Roma che si annuncia infuocata, verrà probabilmente messo ai voti un documento che esclude qualsiasi tipo di sostegno ad una ricandidatura di Virginia Raggi in Campidoglio. In quali termini, non è ancora chiaro. L’obiettivo è frenare il malcontento mostrato anche da qualcuno degli zingarettiani più accaniti e, dall’altro, evitare fughe fuori dal partito fra chi si sente attratto dalle sirene renziane e calendiane. “Roma ha già dato”, ha scritto ad esempio su Twitter il segretario del Pd Lazio, Bruno Astorre (in quota Franceschini), mentre per Andrea Romano “Raggi è un pessimo sindaco” e Alessia Morani cinguetta: “Raggi bis? Anche no grazie”. E il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, ex renziano di ferro, è stato netto: “Penso che il Pd debba correttamente rivendicare la propria netta opposizione alla sindaca Raggi e rivendicare l’assoluta necessità di favorire un cambio, il prima possibile. Alleanza o non alleanza con il M5S, la situazione di Roma è penosa e non più accettabile”.

Spunta l’idea Iozzi
Così, nelle pieghe dei dem romani, monta una proposta da presentare al M5s, qualora le intenzioni di convergenza mantengano le loro premesse: fare il nome di uno o più amministratori pentastellati graditi anche al Pd. Fra questi, uno dei nomi che più piace a sinistra è quello di Monica Lozzi, presidente del Municipio VII Tuscolano, che in questi tre anni ha ricevuto critiche positive per la gestione del parlamentino e, soprattutto, si è distinta nella lotta al predominio territoriale dei Casamonica. Un profilo perfetto, si dice, per accontentare l’idea di gestione politica che ha Zingaretti della città, facendo felice anche la ‘new wave’ pentastellata che proprio in Lozzi e nel sindaco di Marino, Carlo Colizza – solo per rimanere nel Lazio – individua le figure su cui puntare per il futuro.

Il dilemma di Andrea Casu: sfiducia possibile
Prima di tutti questi ragionamenti, il Pd a Roma ha un grande problema: i vertici del partito vanno riorganizzati. Mercoledì, dopo ben 125 giorni, è stata convocata la direzione romana. Quattro mesi di silenzio, sia formale che mediatico, in cui è avvenuto di tutto: un nuovo governo, un rimpasto della giunta comunale e una scissione di partito con esponenti di primo piano (fra cui il candidato sindaco 2016, Roberto Giachetti) che sono andati via. Quest’ultimo tema riguarda da vicino il segretario romano, Andrea Casu, eletto due anni fa quando i dem parlavano ancora la lingua renziana, fu fortemente sponsorizzato dal deputato Luciano Nobili, fra i primi a seguire Matteo Renzi nel suo nuovo progetto Italia Viva. Nelle ore successive alla scissione, Casu aveva commentato che “ancora non ho deciso cosa fare”, per poi chiudersi nel silenzio. Mercoledì, secondo indiscrezioni, potrebbe essere messo in minoranza dalla stessa direzione dem e costretto a dimettersi.

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