Settima proroga per Alitalia. Dopo 29 mesi di gestione straordinaria arriva l’ennesimo rinvio. La cordata guidata dalle Ferrovie dello Stato non è riuscita a formalizzare un’offerta definitiva per il vettore italiano. Atlantia si è detta disponibile a proseguire il confronto per la definizione di un’offerta vincolante, ma pone quattro condizioni per andare avanti. Inoltre, sullo sfondo, resta il fatto che per il gruppo dei Benetton l’operazione di salvataggio è legata a doppio filo con la partita delle concessioni autostradali. Non a caso l’esecutivo starebbe valutando l’ipotesi di limitare la revoca della concessione al solo tratto ligure.
In attesa di novità dal governo, Atlantia ha precisato che la partecipazione al progetto di salvataggio di Alitalia “non può prescindere da ulteriori approfondimenti” su almeno quattro punti. In primo luogo, secondo la società dei Benetton è necessaria “l’individuazione di un partner industriale che partecipi al capitale della Newco con una quota significativa”. In seconda battuta, bisognerà definire un “piano industriale della newco, condiviso”. Inoltre sarà necessario “il raggiungimento di un accordo sull’assetto di governance e sul top management della newco”. Infine, dovrà delinearsi “un assetto azionario che veda Atlantia come socio di minoranza e, conseguentemente, senza un coinvolgimento nella gestione corrente della stessa al fine di prevenire eventuali conflitti di interesse, detenendo Atlantia la quasi totalità della partecipazione al capitale di Aeroporti di Roma spa”.
Quanto a Ferrovie, il consiglio di amministrazione si è perfettamente allineato con la visione di Atlantia deliberando la “disponibilità a proseguire il confronto per la definizione di un piano industriale condiviso, solido e di lungo periodo volto a valutare la formulazione di un’offerta finale per l’acquisto da Alitalia”. Difficoltà che saranno superate “con ulteriori sessioni di lavoro” in cui approfondire le tematiche individuate anche dal gruppo dei Benetton. Sempre a patto che le Ferrovie restino un socio di minoranza.
Per ora quindi l’unica certezza è che bisognerà ben presto mettere mano al portafoglio. Il denaro pubblico del prestito ponte (900 milioni) non basterà a traghettare la compagnia di bandiera verso la nuova Alitalia. Il gruppo perde infatti ancora più di 500mila euro al giorno (500 milioni il rosso solo nel 2018) e ha bisogno di una boccata d’ossigeno con un nuovo prestito ponte da 200-350 milioni. L’ipotesi di una nuova iniezione di liquidità pubblica è stata finora smentita dal ministero dello sviluppo economico che teme le ire di Bruxelles. Ma, secondo i sindacati, il nuovo finanziamento non è un’opzione, bensì una necessità. Non a caso, nella nota appena diffusa, anche Atlantia ha sottolineato “l’esigenza che l’amministrazione straordinaria sia messa in condizione di gestire i complessi aziendali fino al closing dell’operazione”. Per questa ragione, secondo alcune indiscrezioni, in queste ore, sarebbe nuovamente tornato d’attualità un vecchio piano che prevede la trasformazione del finanziamento pubblico in credito limitando la partecipazione azionaria alla conversione dei soli interessi sul prestito ponte. In questo modo, salvo nuovi colpi di scena, il Tesoro diventerebbe azionista con il 15% Una quota analoga andrebbe alla compagnia americana Delta, mentre alle Ferrovie e ad Atlantia andrebbe il 35% ognuna. Così complessivamente i soci della nuova Alitalia sborserebbero circa un miliardo.
Secondo i sindacati, però, la cifra non è sufficiente al rilancio del gruppo ed è evidente sin d’ora che gli azionisti saranno nuovamente chiamati a mettere mano al portafoglio. Lo ha spiegato recentemente anche Atlantia in una lettera inviata ad inizio ottobre al Mise: “L’analisi dell’attuale piano, così come strutturato, a nostro meditato avviso – si legge nella missiva firmata dal direttore generale di Atlantia Giancarlo Guenzi e dal presidente Fabio Cerchiai – Consente al massimo un rischioso salvataggio con esiti limitati nel tempo ed è quindi ben lungi da costituire una piattaforma di rilancio della compagnia”. Detta in altri termini, un miliardo non basta per il rilancio. Non a caso Lufthansa resta alla finestra nel caso in cui il salvataggio non dovesse andare in porto e Alitalia andasse verso la liquidazione. Ipotesi che, secondo i sindacati, è tutt’altro che scongiurata.