L'Ingegnere in un'intervista al "Corriere": "Il gruppo Espresso ha avuto un ruolo fondamentale: merita di essere conservato e gestito. L'obiettivo è assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana". E conferma il giudizio sugli eredi: "Parlarci? E' inutile: non accettano di riconoscere che non sono capaci di fare il mestiere di editori. Ma non hanno passione né competenze: serve sensibilità, gusto estetico, cultura". I rappresentanti dei giornalisti della Stampa: "L'azionista di riferimento faccia vero piano di rilancio"
Riprendersi Repubblica, per salvare quello che rappresenta: “Un pezzo importante della vita di questo Paese. Tante cose sono avvenute su Repubblica, e tante cose sono avvenute a causa di Repubblica, sia sul piano politico che su quello culturale, direi anche civico. Il gruppo Espresso ha avuto in Italia un ruolo fondamentale. Merita di essere conservato e gestito“. E quindi vale la pena riprenderselo e poi regalare le azioni a una fondazione cui dovrebbero partecipare rappresentanti dei giornalisti, dirigenti del gruppo, personalità della cultura. E’ il piano di Carlo De Benedetti per riprendersi la sua vecchia creatura e soprattutto toglierla ai figli. In un’intervista al Corriere della Sera, anzi, l’Ingegnere ha proprio per loro le parole più dure. Non ci ha nemmeno parlato prima di avviare questa operazione di recupero di Repubblica, dice, perché “sarebbe stato inutile, perché non accettano le premesse: riconoscere che non sono capaci di fare questo mestiere”.
“I miei figli – aggiunge – sanno fare bene altri mestieri. Ma non hanno la passione per fare gli editori. Non hanno neanche la competenza; ma prima di tutto non hanno la passione. E senza passione non puoi fare un mestiere così particolare, artigianale, per il quale occorrono sensibilità, gusto estetico, cultura, capacità di conduzione di uomini, talento per mettere insieme un’orchestra e il direttore che la dirige, decidere quale spartito suonare. I miei figli, in particolare Rodolfo, lo considerano un business declinante; e non hanno neanche torto. Ma questo significa considerarlo un mestiere qualsiasi; e invece l’editore non è un mestiere qualsiasi. La grande ingenuità dei miei figli è continuare da tempo a cercare un compratore per il gruppo. Una ricerca inutile: in Italia un compratore non c’è”.
Per fare tutto questo De Benedetti descrive “un’operazione in due tempi”: la prima, raddrizzare “la gestione dell’azienda, che è stata del tutto inefficace“, e in questa ottica “riprendere a investire pesantemente in un settore in cui Repubblica per anni ha eccelso: il digitale”. Il secondo passo consisterebbe poi nel “portare le mie azioni, convincendo gli altri azionisti a fare altrettanto, in una Fondazione. Una Fondazione cui parteciperanno rappresentanti dei giornalisti, dirigenti del gruppo, personalità della cultura. L’obiettivo è assicurare un futuro di indipendenza a un pezzo di storia italiana“, afferma De Benedetti. “Sono ben conscio della mia età. Ma mi sento molto bene” assicura. La sua prima mossa, diventata nota nelle scorse ore, è stata un’offerta per l’acquisto del 29,9 per cento di Gedi, respinta da Cir, la società che controlla il 45,75 per cento del gruppo editoriale.
De Benedetti rivendica il fatto che “gli azionisti Cir dovrebbero ringraziarmi per questo regalo piuttosto consistente: la mia offerta ha fatto aumentare il valore in Borsa del titolo di oltre il 15 per cento – sottolinea parlando con Aldo Cazzullo – Un contributo più rilevante di quello che ha dato l’attuale gestione. Il mercato ha dimostrato che l’azienda, se gestita non dai miei figli, vale di più. Gestita dai miei figli, l’azienda vale 23 centesimi ad azione. La pago al prezzo cui hanno ridotto l’azienda. Perché dovrei pagarla di più? E poi non compro tutto, ma il 30 per cento. Non è questione di soldi, non voglio fare un affare. Le ripeto che dopo il rilancio intendo regalare le azioni a una Fondazione”.
Ma un giornale può stare in piedi con una fondazione?, chiede Cazzullo. “In Italia non è ancora accaduto – ammette De Benedetti – Ma in Inghilterra e in Germania esistono Fondazioni che hanno la proprietà di un giornale. Non propongo un atto di generosità; propongo un atto di responsabilità. Capisco che i miei figli non amino il giornale; smettano però di distruggerlo. Si convincano e convincano gli altri azionisti Cir ad aderire a questo programma, visto che non si sono dimostrati capaci di gestire, non hanno idea di come farlo, e si ostinano a cercare un acquirente che non c’è”.
Intanto i rappresentanti sindacali dei giornalisti della Stampa esprimono “incredulità e preoccupazione” per “le notizie di eventuali operazioni sul capitale del gruppo” che “creano un clima di ulteriore incertezza”, ma prendono anche le distanze dall’azionista di riferimento Cir: “Non basta, come ha scritto domenica l’azionista di riferimento Cir in un suo comunicato, di volersi preoccupare di ‘assicurare prospettive sostenibili di lungo termine a Gedì. Da anni la redazione attende un vero piano di rilancio supportato dalle necessarie risorse e per questo ora occorre mettere in campo una volontà precisa volta a far crescere e sviluppare tutto il gruppo”