Nel 2017 il valore dell’economia non osservata – che comprende il “nero” e le attività illegali – è risalito a circa 211 miliardi di euro dai 208 dell’anno prima: si tratta del 12,1% del Pil. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto Istat: l’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro e le attività illegali a circa 19 miliardi. Le stime per il 2017 confermano la tendenza alla riduzione dell’incidenza sul Pil della componente non osservata, dopo il picco del 13% toccato nel 2014. Risulta invece in aumento il ricorso al lavoro nero: nel 2017 sono state stimate 3,7 milioni di unità di lavoro a tempo pieno non regolari. Di queste, 2,7 milioni riguardano lavoratori dipendenti. L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato.
Più in dettaglio, nel 2017 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata è salito dell’1,5% rispetto all’anno precedente, segnando una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%. L’incidenza sul Pil si è perciò lievemente ridotta portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016 e confermando la tendenza in atto dal 2014. La diminuzione rispetto al 2016 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale resta stabile (1,1%).
La sottodichiarazione del valore aggiunto risulta essere la componente più rilevante in termini percentuali: nel 2017 pesa il 46,1%, +0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Segue il valore aggiunto generato dall’impiego di lavoro irregolare che si è attestata nel 2017 al 37,3% (-0,5 punti percentuali rispetto al 2016). L’Istat evidenzia una tendenza al calo del peso di questa componente dal 2014, quando si è registrato un valore pari a 38,2%. L’incidenza delle altre componenti dell’economia sommersa (mance, fitti in nero e integrazione domanda-offerta) si attesta al 7,6%, rimanendo sostanzialmente stabile rispetto al 2016.
Il peso delle attività illegali invece presenta un andamento crescente dal 2014. In particolare, aumenta di 0,3 punti percentuali rispetto al 2016, portandosi nel 2017 al 9%. Nel periodo di riferimento, secondo l’Istat, la crescita delle attività illegali è determinata prevalentemente dal traffico di stupefacenti: il valore aggiunto sale a 14,4 miliardi di euro e la spesa per consumi raggiunge i 15,7 miliardi di euro. Invece “è modesta la crescita dei servizi di prostituzione“. Nel 2017 sia il valore aggiunto sia i consumi si attestano a 4 miliardi di euro, livelli sostanzialmente invariati rispetto al 2014. L’attività di contrabbando di sigarette nel 2017 rappresenta il 2,5% del valore aggiunto complessivo (0,5 miliardi di euro) e il 3,2% dei consumi delle famiglie (0,7 miliardi di euro). Le attività illegali possono interagire con quelle legali non dichiarate al fisco. Questo è il caso del traffico di stupefacenti che genera un indotto di servizi (per lo stoccaggio e il trasporto di merci su strada e via acqua) che nel periodo 2014-2017 è cresciuto passando da un valore aggiunto di 1,2 miliardi a 1,3 miliardi.
Il tasso di irregolarità del lavoro, calcolato come incidenza percentuale delle unità di lavoro non regolari sul totale, risulta stabile nell’ultimo biennio (15,5% nel 2016 e nel 2017) per effetto di una dinamica del lavoro non regolare in linea con quella del totale dell’input di lavoro. Il tasso di irregolarità è più elevato tra i dipendenti rispetto agli indipendenti (rispettivamente il 16% e il 14,2%). Nell’insieme del periodo 2014-2017 il lavoro non regolare presenta una dinamica differenziata e opposta a quella che caratterizza il lavoro regolare: gli irregolari aumentano di circa 59mila unità (+1,6%) mentre i regolari crescono di 603mila unità (+3,1%), determinando un leggero calo del tasso di irregolarità dal 15,6% osservato del 2014 al 15,5% del 2017.