“Ripensare i percorsi di formazione e abilitazione del personale docente”. Una riga nella nota di aggiornamento al Def 2019 apre le porte a una nuova rivoluzione nel mondo della scuola. Non clamorosa come quelle a cui professori e aspiranti tali sono stati abituati negli ultimi anni, ma il modello per diventare insegnanti è destinato a cambiare ancora: tornerà l’abilitazione, i vecchi Tfa (Tirocinio Formativo Attivo) per intenderci, anche se magari non si chiameranno più così e saranno semplificati rispetto al passato.
L’ULTIMA RIFORMA DI BUSSETTI: CONCORSO SOLO CON LA LAUREA – Siss, Tfa, Pas, Fit, concorsi e concorsoni: nell’ultimo decennio il sistema di formazione e reclutamento della scuola italiana è cambiato continuamente, tra meccanismi più o meno complicati e cervellotici acronimi. L’ultima svolta risale solo a un anno fa: nella manovra di fine 2018 il governo gialloverde aveva deciso il ritorno al vecchio concorsone, aperto a tutti i semplici laureati (con almeno 24 crediti di pedagogia). Un modo di semplificare il percorso (anche a costo di una minore preparazione), soprattutto di rinnegare uno degli ultimi pezzi della “Buona scuola” renziana, il cosiddetto Fit (Formazione iniziale e tirocinio), una sorta di “apprendistato” triennale per diventare docenti.
TORNA L’ABILITAZIONE (MA MENO IMPORTANTE E SEMPLIFICATA) – Prima di Bussetti per accedere al concorso serviva l’abilitazione: è un titolo che si consegue dopo aver superato una prova selettiva e frequentato delle lezioni teoriche (miste a pratica sui banchi), prima con le Siss poi con i Tfa (senza dimenticare varie sanatorie, i cosiddetti Pas: ne prevede un anche l’ultimo decreto “Salva precari”) . Le abilitazioni vere e proprie, però, erano ferme dal 2014/2015 (anno del secondo e ultimo ciclo di Tfa), e si pensava che non ce ne sarebbero state più. Invece adesso torneranno. Lo dice la nota al Def: “Per garantire una maggior funzionalità e qualità del sistema nazionale di istruzione e formazione si rende opportuno ripensare i percorsi di formazione e abilitazione del personale docente. A tal fine verrà presentato alle Camere un disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica”. Lo ha confermato indirettamente anche il ministro Lorenzo Fioramonti in un’intervista a Repubblica: “A marzo metteremo mano a tutta la questione abilitazione. Di certo non può bastare una laurea per diventare insegnanti: serve essere formati”. A questo punto resta da capire come si concilierà il ritorno dell’abilitazione con il concorsone aperto ai semplici laureati, in fase di lancio con i primi due bandi.
CONFERMATO IL CONCORSONE APERTO A TUTTI – L’intenzione del nuovo governo M5S-Pd dovrebbe essere confermare l’impianto di reclutamento deciso nel 2018, affiancandogli un nuovo percorso di formazione. L’abilitazione non sarà più requisito d’accesso ai concorsi, ma resterà comunque un titolo fondamentale per chi vuole insegnare: innanzitutto garantirà una corsia preferenziale per le supplenze (permette di iscriversi nella seconda fascia delle graduatorie d’istituto) e poi ovviamente verrà riconosciuto in maniera adeguata come punteggio nel concorso per il posto fisso; due ottime ragioni per abilitarsi. D’altra parte, avendo un valore minore ai fini dell’assunzione, accesso e iter che in passato erano molto selettivi e complessi saranno in qualche maniera semplificati (e gli aspiranti docenti si augurano anche uno sconto sui costi: i vecchi Tfa potevano arrivare a costare fino a 3mila euro).
Il provvedimento troverà spazio in un collegato alla finanziaria, in Parlamento in primavera. Prima partiranno due concorsi: quello straordinario (il cosiddetto Salva-precari) da 24mila posti per i non abilitati con 36 mesi di servizio, e pure quello ordinario, banditi contemporaneamente (entro fine 2019). Dunque concorsone aperto a tutti i laureati con 24 crediti in pedagogia, per chi vuole in futuro anche abilitazione: così si insegnerà nella scuola italiana.