Si è svolta lo scorso fine settimana a Cagliari la dodicesima edizione del Premio Andrea Parodi. Questa rassegna è decisamente differente rispetto alla maggior parte degli altri premi italiani di canzone d’autore perché si concentra principalmente sulla world music, esaltando le commistioni tra generi differenti che sappiano raccontare le peculiarità culturali e antropologiche scaturite dalle varie latitudini e da uno specifico modo di intendere la musica. Mica facile. Infatti non è facile ed è per questo che vanno fatti i complimenti agli organizzatori del Premio, perché il livello era molto alto e le proposte arrivavano davvero da ogni parte del mondo.

Complimenti dunque alla direttrice artistica Elena Ledda e alla fondazione Andrea Parodi. A vincere sia il premio assoluto che quello della critica con il brano Rahil è stata la Fanfara Station, gruppo formato da musicisti provenienti da Tunisia, Italia e Usa, che canta in lingua tunisina. Ci sono stati poi vari altri riconoscimenti; segnalo di seguito gli artisti che più mi hanno convinto. Partirei dal gruppo polacco degli Krzikopa, che con il brano Hasiorkiha hanno proposto un electropop dalle venature tradizionali, molto ardito ritmicamente, con testo ironico e particolare, quasi come degli Abba in sfizioso controtempo. Andateveli a cercare, non resterete delusi.

Il premio per la migliore interpretazione di un brano di Andrea Parodi (Pandela) è andato all’abruzzese Setak, al secolo Nicola Pomponi, già finalista alle Targhe Tenco sezione dialetto 2019. Il suo brano in gara era la ballata Marije: il genere brit-pop che incontra la lingua abruzzese vestina. E cosa viene fuori? Una canzone dolce e orizzontale che scuote il pudore di un popolo umile e testone. La sensazione è che il cantautore Setak possa rendere ancor meglio in contesti più concentrati sull’aspetto musical-letterario.

Molto suggestive le esibizioni di Federico Marras Pierantoni e di Arsene Duevi. Il primo si è aggiudicato il premio per il miglior testo con il brano Canzona di mari n. 2. Fòggu e fiàra, dall’inciso deciso e fatale molto evocativo, avventuroso e che attinge dalla letteratura a tema e dalla millenaria storia della sua terra. Arsene Duevi invece è originario del Togo, polistrumentista ed etnomusicologo che si è presentato solo con la sua chitarra classica e la loop station. Si è distinto per un eccellente uso evocativo della voce, con una canzone d’amore dal titolo Agama’ (a Laura) in lingua ewè, brano di speranza, dolce e positivo, in cui si parte certo dall’Africa ma si ritrovano suggestioni che arrivano persino in America del Sud e alla musica trova, per un certo gusto della melodia sull’arpeggio di chitarra nel canto d’amore diretto.

Bisogna sicuramente poi citare il gruppo Suonno d’ajere, trio partenopeo dall’evidente omaggio a Pino Daniele nel nome, ma che ha cantato un brano di stile classico napoletano, Suspiro, scritto dal bravissimo Marcello Smigliante Gentile. Dico “bravissimo” perché la canzone è molto delicata e ricalca la tradizione melodica napoletana senza minimamente sfigurare: non è facile, perché è forse quella più potente; lì una sola parola o un accordo fuori posto fa crollare tutto. E invece l’esibizione (alla voce la brava Irene Scarpato) si è aggiudicata il premio per la migliore interpretazione.

Più in generale, ciò che fa la differenza nel Premio Parodi è l’aria che si respira, a partire dalle persone dell’organizzazione, che è formata dal nucleo laborioso della famiglia del cantautore. Di lui restituiscono la medesima cordialità e schiettezza del rapporto una confidenza contemporanea che attinge dalla tradizione e che è venuta fuori anche dalle scelte artistiche sul palco: le diverse musiche dal mondo risultano sempre in elegante equilibrio tra loro, pur non perdendo le proprie peculiarità.

I linguaggi attingono dalla tradizione ma, mescolandosi con altri, danno una terza via, una strada nuova. Andrea Parodi era un uomo e un artista per cui la canzone corrispondeva alla vita: autentico, elegante ma senza fronzoli. “Vorrei che fosse vero che ogni mano che apre il tuo ventre fossi tu a partorirla” cantava Ivan Graziani, figlio di madre sarda, nel brano del 1979 Taglia la testa al gallo.

L’autodeterminazione dei popoli è una questione complicata, e anche quello sardo registra sia felici che infelici pagine di storia in questo senso. Ma l’arte riesce a trasfigurare e a fermare il tempo: nei brani di Andrea Parodi la rivendicazione della propria cultura non crea conflitto, vien fuori la limpidezza del proprio modo di essere, sempre però in accordo con il respiro del mondo. Il Premio che porta il suo nome quest’esclusività unisona riesce a custodirla, valorizzarla, tramandarla.

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