Basta capi. Anzi, basta capi che fanno anche il premier. Il Pd di Nicola Zingaretti comincia a cambiare pelle. “Serve un partito totalmente nuovo – dice il segretario alla direzione dei democratici – Io dico dopo 12 anni basta parlare di riforma (del Pd, ndr), basta aspettare, basta paure, basta conservatorismi. Serve una forza politica e nazionale diversa da quella che siamo. Una fase aperta per un partito diverso“. E il primo punto da emendare è che “troppe volte abbiamo delegato a un capo i destini della nostra comunità”. E questo si traduce nel fatto che tra le modifiche elaborate dalla commissione Statuto (e che saranno portate al voto dell’assemblea nazionale) c’è anche il superamento dell’automatismo segretario-candidato presidente. Un emendamento che serve – nelle intenzioni della commissione presieduta da Maurizio Martina – a favorire la nascita di una coalizione. Nello stesso tempo resteranno le primarie aperte. Viene anche prevista la possibilità del “Congresso straordinario a tesi” su proposta del segretario, “un congresso che possa svolgersi in 100 giorni”, in cui non ci sia in ballo “solo la scelta del leader”, dice Zingaretti.
Zingaretti pensa a nuovi gruppi dirigenti, una nuova segreteria, “spero unitaria”, dove “si possa unire pluralismo e competenza“. “Credo nel pluralismo – ha tuttavia aggiunto – ma faccio fatica a continue mediazioni tra gruppi che marcano sempre le proprie istanze. Faremo un passo avanti se ciascuno di noi capirà che una cosa va bene non solo se c’è qualcuno del mio gruppo ma se c’è qualcosa di buono per il mio Paese”.
Poi la questione del governo. Il segretario precisa meglio la sua proposta di trasformare il patto con i Cinquestelle al governo in alleanza. “Sulle alleanze – spiega – si è fatta confusione: nessuno venga a spiegare a me le differenze tra Pd e M5s, le consideravo talmente rilevanti da avere perplessità sull’avvio dell’esperienza di governo. Non giochiamo con le parole”. Ma batte ancora su un concetto che ripete da giorni: “C’è il pericolo (con la destra, ndr) di un’involuzione pericolosa, ma non illudiamoci che si possa governare insieme solo per resistere a Salvini“, ha aggiunto. “Ma non commettiamo l’errore di fronte a differenze di ogni tipo di rimanere fermi o di esaltare le differenze nei litigi come nel governo gialloverde”.
Zingaretti rivendica nella linea del governo la presenza dei “tre pilastri del programma Pd: meno tasse per i lavoratori, svolta ‘verde’, formazione gratuita per le famiglie a basso reddito. Tutti e tre entrano in vario modo nella manovra”. E, se Luigi Di Maio da Italia a 5 Stelle di Napoli ha fatto la sua lista di cose da fare nel 2020 (dall’acqua pubblica al conflitto d’interessi), anche Zingaretti fissa l’orizzonte del Pd nell’attività di governo: digital tax, fondo per l’assegno unico per i figli, agenda per la casa, agenda per lo sviluppo di Industria 4.0, rilancio delle infrastrutture, credito per le imprese, superamento delle disparità salariali tra uomo e donne, una legge sull’equo compenso e una sul salario minimo sulla base della proposta del Pd fondata sui minimi tabellari.
E poi ci sono le riforme costituzionali da completare dopo l’atto di lealtà del Pd sul taglio dei parlamentari. “Ora occorre superare i limiti di quella impostazione e fare in modo che il processo riformatore vada avanti condizionato dalle nostre proposte, con contrappesi costituzionali, regolamentari e con una legge elettorale, presentando un testo condiviso a dicembre” come concordato. E a proposito di legge elettorale per il segretario la risposta non può essere un proporzionale puro senza soglia (che neutralizzerebbe la Lega): “Toglierebbe ai cittadini la parola nella scelta del governo” dice. Zingaretti ha chiesto agli alleati di governo di “aprire un confronto formale” e a “verificare” insieme anche la possibilità di “forme di maggioritario“.