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Joker, la malattia che fa “ridere” Arthur c’entra con la sindrome pseudobulbare. Il neurologo: “Ecco il motivo dell’incontinenza emotiva”

Ma anche se tra qualche mese Joaquin Phoenix dovesse vincere l’Oscar per il suo Joker, come già accaduto con la statuetta postuma a Heath Ledger, il suo Arthur Fleck non potrebbe essere preso come un caso paradigmatico di un paziente colpito da affettività pseudobulbare, per il dottor Alberto Albanese, direttore di neurologia dell'Humanitas di Milano, Fleck/Joker è “prevalentemente un esempio di paziente psicopatico”

di Kevin Ben Alì Zinati

Quando una madre lo sgrida perché con le sue smorfie sta importunando il figlio, quando scopre una oscura e terribile verità sul suo passato, quando lo licenziano in tronco dall’unico sudicio lavoro che aveva per vivere. Nei momenti più sbagliati, Arthur Fleck ride, e anche a crepapelle. E l’inquietante paradosso è che non lo fa volontariamente. Todd Philips e Joaquin Phoenix l’hanno costruito così il loro Joker: un uomo solo, devastato, psicologicamente instabile e affetto da una patologia neurologica che lo fa rispondere agli stimoli emotivi esterni in modo inappropriato, eccessivo e fuori luogo. Si chiama sindrome pseudobulbare e cucita addosso all’interpretazione di Phoenix sta letteralmente proiettando il film e il personaggio nell’Olimpo di Hollywood, in cima ai botteghini di tutto il mondo e in pole position per più di una statuetta agli Oscar.

Tutto vero

Regista e attore per dare vita al personaggio hanno preso spunto da un dato di realtà. La patologia comporta un’alterazione della mobilità della parte inferiore della faccia provocando una reazione inappropriata alle emozioni. Vengono colpite le aree più alte e vicine alla corteccia cerebrale che controllano il bulbo dell’encefalo e così vengono alterati il movimento e la sensibilità della parte inferiore del volto, aspetti entrambi controllati proprio dal bulbo. “Una disfunzione pseudobulbare dà origine a due sintomatologie neurologiche: un difficile controllo dei movimenti del volto e aspetti di incontinenza emotiva, dal momento che queste vie controllano anche le emozioni” spiega il dottor Alberto Albanese, direttore del reparto di Neurologia all’Humanitas di Milano. Per questo si dovrebbe parlare di «affettività pseudobulbare»: “La sindrome comprende una paralisi degli ultimi nervi cranici e quindi disfunzioni motorie. Se ci si riferisce alla prevalenza di reazioni inappropriate, come il pianto o la risata di Joker, allora si parla di affettività pseudobulbare”.

Il reietto

Una condizione che rende Arthur Fleck un reietto: deriso e incompreso dai colleghi, inquietante per gli amici e ripudiato e abbandonato da una cinica e meschina Gotham City. Nel film vengono date poche informazioni sull’origine della sua malattia ma possiamo provare a immaginare quali potrebbero essere stati i tagli alla sceneggiatura: “Questo genere di malattia si verifica tipicamente in pazienti adulti, raramente in bambini, in relazione a quattro situazioni cliniche principali – continua il dottor Albanese – Ovvero la presenza di malattie degenerative o vascolari, situazioni di gravi infiammazioni o tumori”. I pazienti affetti da affettività psudobulbare possono essere trattati con terapie antidepressive, come nel caso di Arthur Fleck: “Recentemente inoltre è stata anche approvata una nuova terapia negli Stati Uniti a base di desmetorfano e quinidina”. Terapie che non “curano” patologie depressive ma semplicemente aumentano la velocità di comunicazione dei neuroni e “nel caso dell’affettività di Joker, per esempio, in cui c’è una lesione alle vie del bulbo, gli antidepressivi migliorano la loro efficacia ma non la curano. E se vengono sospesi, la situazione può anche degenerare”. Degenerazione che nel film c’è per davvero e che culmina con danni devastanti per tutti: per Gotham City, la sua popolazione e lo stesso Arthur Fleck. Ma anche se tra qualche mese Joaquin Phoenix dovesse vincere l’Oscar per il suo Joker, Arthur Fleck non sarebbe certo ricordato come “caso paradigmatico” di un paziente colpito da affettività pseudobulbare, ma per l’altra patologia che caratterizza il personaggio. Per il dottor Alberto Albanese, Fleck/Joker è infatti “prevalentemente un esempio di paziente psicopatico”.

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