di Flavio Lo Faro

Ho sempre creduto che alle poste ci fossero file interminabili e che fosse meglio andare alle sei del mattino – trovando in quel caso veramente la calca. Una volta sono andato alle nove e stranamente ho fatto in fretta. Il preconcetto che avevo si basava sul sentito dire: in fondo è una storia già sentita e in parte stereotipata.

Alla base di una credenza vi è l’assumere, diretto e indiretto, di una condizione di superiorità e di conferma. Io mi affido a una “verità” e questa è invalicabile, come un campo recintato. Ciò che è nel mio campo – la credenza – è il certo; a poco a poco altri fatti vi entreranno e diverranno parte della mia visione del mondo. Credo che questo meccanismo sia fondamentale nelle bufale. Molto spesso esse sono talmente ridicole da non poter presumere, a chi non crede, che siano accettabili.

Eppure c’è chi lo fa e ciò non è spiegabile sostenendo la semplice idiozia di chi crede: in effetti non spiegherebbe granché. Dietro l’accettazione di una bufala vi è la convinzione di aver trovato una prova che conferma la tesi: questo comporta che tutti siamo potenzialmente bufalari e creduloni. Immaginate, per esempio, di trovare un gigante seppellito nel vostro giardino. Lo credereste un reperto autentico oppure no?

Il 16 ottobre del 1869 (150 anni fa) a Cardiff, una piccola borgata nello stato di New York, due operai che lavoravano per il fattore William Newell trovarono un uomo pietrificato alto ben tre metri. La notizia del ritrovamento si sparse fin da subito. Era un gigante? Andrew White, presidente della Cornell University, era convinto che fosse una statua di pietra. Altri studiosi sostenevano fosse una statua del 600 realizzata dai gesuiti per impressionare gli indiani.

Ma la popolazione in generale trovò in quel gigante una prova della veridicità della Bibbia. Un pastore di Syracuse dichiarò “non è strano che un essere umano, dopo aver visto questa figura meravigliosamente conservata, possa negare l’evidenza dei suoi sensi […] forse uno dei giganti menzionati nella Scrittura?” Newell, il proprietario del campo in cui fu rinvenuta la statua, pensò a un’altra soluzione, ossia far soldi: a chi desiderava vedere il gigante, faceva pagare un biglietto (il cui prezzo lievitò celermente).

Oggi la Bibbia viene letta quasi “metaforicamente”, ma all’epoca non accadeva così spesso, nonostante l’800 fosse un periodo di grande sviluppo non solo economico, ma scientifico, culturale, sociale, religioso: il progresso sembrava inarrestabile. L’origine della specie per selezione naturale di Charles Darwin era uscito da dieci anni (1859). Eppure c’era chi era contrario a quella teoria e ancora si rifugiava nella Bibbia – considerate che ancora oggi esistono i creazionisti, soprattutto in Usa.

Ma quella era una statua oppure un gigante? Era una statua, ovviamente. Ma ci volle del tempo prima che se ne accorgessero. Il campo di Newell si trasformò in un viavai di curiosi e di giornalisti e la fama del gigante crebbe. Arrivò pure un circense, Phineas Taylor Barnum, che fiutò l’affare e offrì 50mila dollari per averlo. Al rifiuto di Newell, il circense si fece costruire una sua statua del gigante, spacciandola per quella vera (con altrettanto successo – e non fu il solo a farlo).

Ma come hanno potuto credere che quello fosse un gigante? Il problema delle bufale non sta di per sé nel rendere plausibili le storie, ma nel renderle organiche a seconda del contesto. Per far rientrare qualche bufala all’interno di un campo di credenze, esse devono avere un possibile aggancio col suo pubblico. Per esempio, per rimanere in tema “giganti”:

Ciò che facciamo nella vita di tutti i giorni è credere: la cosa di per sé non è un problema, ma se questo non dà spazio alla criticità, ossia al comprendere i propri limiti conoscitivi e a porsi e a porre domande, si cade nell’errore di non comprendere la realtà. E credere non è solo un semplice “vedere”, o solo un aprirsi al mondo, ma definisce totalmente la nostra esistenza.

Abbiamo strutture narrative del mondo tali da farci approcciare alle cose in modo a volte netto. Ma chi agisce sempre e comunque senza lo spirito di andare oltre, senza ricollegare il gesto al pensiero, perde la possibilità di cambiare opinione sulle cose. Avere una visione totalizzante del mondo permette di dare significati assoluti ai fatti, i quali si collocano nell’immaginario come un guscio inviolabile in cui rifugiarsi e rimaner fermi, nonostante il mutare del mondo e dell’individuo stesso. Ma se ci cristallizzassimo nel nostro universo di credenze, quanto apparterremmo a un mondo che cambia continuamente, tanto quanto la vita?

Ritornando alla storia: chi è stato a mettere quella scultura nel campo di Newell? Il cugino George Hull, tabaccaio profondamente ateo, decise di realizzare l’opera dopo aver avuto una discussione con un gruppo metodista riguardo al passo della Genesi 6,4 in cui si parla dell’esistenza dei giganti. Profondamente seccato da quelle che considerava sciocchezze, ordinò un blocco di gesso dicendo che era destinato alla realizzazione di una statua di Abraham Lincoln. In seguito fece realizzare l’opera a Chicago da uno scultore. Un anno prima del rinvenimento, in gran segreto sotterrò l’opera.

Appena due mesi dopo la scoperta del gigante, Hull convocò la stampa e svelò l’inganno. Tuttavia la bufala continuò a girare e per decenni continuarono ad arrivare visitatori. Oggi si trova al The Farmer’s museum, mentre la copia realizzata dal circense si trova al Marvin’s Marvelous Mechanical Museum. Potrebbe essere una storia attuale, ma è semplicemente una bufala d’altri tempi. Pensate però se a quei tempi ci fosse stato Internet.

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