A tre mesi dalla sentenza sono state depositate le motivazioni del processo in cui l’ex viceministro Massimo Garavaglia è stato assolto e l’ex vicepresidente della Lombardia, Mario Mantovani, condannato.
Il dibattimento ha messo in luce che mancano “elementi adeguatamente dimostrativi per affermare che Massimo Garavaglia abbia dato un contributo anche solo nella forma della agevolazione alla turbativa” d’asta e “difettano elementi per affermare una sua consapevolezza” hanno scritto i giudici della IV sezione penale di Milano nelle motivazioni. Garavaglia, difeso dai legali Jacopo e Gaia Pensa, era imputato per una gara d’appalto per il servizio di trasporto di dializzati del 2014, quando era assessore lombardo all’Economia. Accusa cancellata con l’assoluzione “per non aver commesso il fatto“. Il collegio, presieduto da Giulia Turri, ha ritenuto che il processo non abbia consentito “di affermare con adeguata certezza che alla realizzazione del reato” Garavaglia “abbia fornito un contributo penalmente rilevante, anche in termini di rafforzamento del proposito criminoso o di facilitazione della sua attuazione”.
Diversa la posizione per l’ex vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani, accusato di turbativa d’asta, corruzione e concussione, e condannato alla pena più severa (5 anni e 6 mesi). Per i giudici di Milano lui era “costantemente informato dell’evolversi della “vicenda bando dei dializzati”, e il suo intervento “si rivela in palese violazione del principio di separazione tra funzione di indirizzo politico e di controllo proprie dell’organizzazione politico e di gestione amministrativa concreta di competenza e responsabilità dirigenziale”. L’ex assessore lombardo ed ex sindaco, per l’accusa era “a capo” di un “sistema di favori” e gestiva un “groviglio di interessi pubblici e privati che si concentrava nella sua figura, un sistema gestito anche dal suo entourage e dalle sue persone di fiducia”.