Ha preso avvio davanti alla VI sezione penale presieduta da Giorgio Fidelbo il processo a 35 imputati già condannati in appello nell’ambito del procedimento che squassò Roma nel dicembre del 2014
Sarà la Cassazione a decidere se fu mafia capitale. Ha preso avvio davanti alla VI sezione penale presieduta da Giorgio Fidelbo il processo a 35 imputati già condannati in appello nell’ambito del procedimento che squassò Roma nel dicembre del 2014 con una serie di arresti bipartisan.
“L’associazione di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi ha tutte le caratteristiche dell’associazione mafiosa e rientra perfettamente nel paradigma del 416 bis” ha detto il pg Luigi Birritteri nella requisitoria. Per l’accusa il gruppo “si muove con un nuovo sistema anche con metodi criminali solitamente non violenti nei rapporti con la pubblica amministrazione perché in quel contesto basta corrompere. La capacità di gestire il potere politico con fini criminali è quello che fa la differenza. Anche i corrotti hanno partecipato all’associazione sorretti dall’interesse di perpetuare il potere mafioso”, prosegue aggiungendo che “la corruzione diffusa è uno strumento al pari degli altri per il conseguimento dei fini associativi“. L’accusa ha chiesto la conferma delle condanne di Buzzi e Carminati e di tutti gli altri imputati.
La sentenza di secondo grado assume come momento fondativo dell’associazione il novembre del 2011 e ne dà un movente, “ovvero da una parte la difficoltà che Buzzi cominciò a trovare quando arrivò in Campidoglio la giunta Alemanno e dall’altra l’interesse a fare affari di Carminati”.
I giudici di secondo grado hanno condannato Salvatore Buzzi, Massimo Carminati e altri 16 imputati per associazione mafiosa, una sentenza che l’11 settembre 2018 ha ribaltato il primo grado che non aveva riconosciuto il 416 bis. L’imprenditore è stato condannato a 18 anni e quattro mesi, l’ex Nar a 14 anni e mezzo, e l’ammontare complessivo delle pene per i 43 imputati, otto dei quali assolti, ha raggiunto quasi i 200 anni di carcere.
Secondo la III Corte d’appello di Roma, presieduta da Claudio Tortora, il ‘mondo di mezzo’, ovvero l’intreccio tra politica e imprenditoria ‘del sopra’ e l’illegalità ‘del sotto’, non solo è esistito, ma era fatto di mafia: un’associazione di stampo mafioso quella costruita negli anni da Buzzi e Carminati e comportamenti mafiosi, oltre a legami stretti con politica e imprenditoria, quelli assunti dai membri del gruppo.
Sono stati condannati, a vario titolo, tra gli altri, l’ex amministratore delegato di Ama Franco Panzironi (8 anni e 7 mesi) Emanuela Bugitti (3 anni e 8 mesi), Claudio Caldarelli (9 anni e 4 mesi), Paolo Di Ninno (6 anni e tre mesi), Agostino Gaglianone (4 anni e 10 mesi), Alessandra Garrone (6 anni e 6 mesi), Carlo Maria Guarany (4 anni e 10 mesi), Roberto e Giovanni Lacopo ( 8 anni e 5 anni e quattro mesi di carcere), Michele Nacamulli (3 anni e 11 mesi), Carlo Pucci (7 anni e 8 mesi) e Claudio Bolla (4 anni e 5 mesi). Tra i 13 imputati condannati a vario titolo per reati di corruzione e turbativa d’asta ci sono l’ex presidente dell’assemblea Capitolina, Mirko Coratti (4 anni e sei mesi) e gli ex consiglieri comunali Pierpaolo Pedetti del Pd (3 anni e 2 mesi) e Giordano Tredicine del Pdl (2 anni e 6 mesi). In uno stralcio del processo l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, era stato condannato a 6 anni per corruzione. Per Panzironi l’accusa ha chiesto un aggravamento della posizione: “Come risulta dall’appello non è un concorrente esterno, è partecipe ed è la quintessenza del partecipe, senza di lui sarebbe venuto meno l’accesso all’amministrazione Alemanno” ha detto il rappresentante dell’accusa.