La scoperta di Greenpeace a Gliwice: nell'immondizia si vedono etichette di noti prodotti italiani e, almeno in una, quella dell’impianto della ditta Di Gennaro S.p.A., piattaforma di selezione della raccolta differenziata e degli imballaggi in plastica, operante anche nella filiera di Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta. Guerra di carte bollare tra Roma e Varsavia
Dopo la denuncia dello scorso settembre di un sito illegale di stoccaggio di rifiuti di plastica in Turchia, una nuova indagine dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia ha accertato l’abbandono di un centinaio di balle, almeno in parte provenienti dalla raccolta differenziata di rifiuti urbani italiani, in un’area industriale di Gliwice, in Polonia. Nelle balle di rifiuti plastici si vedono, infatti, etichette di noti prodotti italiani e, almeno in una, quella dell’impianto della ditta Di Gennaro S.p.A., piattaforma di selezione della raccolta differenziata e degli imballaggi in plastica, operante anche nella filiera di Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica. Secondo l’Ispettorato generale per la protezione ambientale polacco (Gios), tramite un intermediario (AGF Umbria), a giugno 2018 l’azienda ha inviato in Polonia oltre 45 tonnellate di rifiuti in plastica all’impianto di recupero GUM Recykling, ma il carico sarebbe stato portato in un sito diverso dall’impianto di destinazione. Così, da oltre un anno questa spedizione è al centro di un contenzioso tra Polonia e Italia. “Ciò che abbiamo documentato è inaccettabile e vanifica gli sforzi quotidiani di migliaia di cittadini nel separare e differenziare correttamente i rifiuti in plastica” è il commento di Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
LE ANOMALIE DENUNCIATE DLLE AUTORITÀ POLACCHE – A giugno 2018, in un dossier che ha condiviso con l’associazione ambientalista, il Gios ha contestato alle autorità italiane le anomalie nella spedizione, mettendo nero su bianco i nomi delle aziende italiane e polacche coinvolte. Oltre allo scarico dei rifiuti in un sito diverso da quello indicato nei documenti, nel report si fa riferimento a un’errata attribuzione del Codice Europeo del Rifiuto (CER). Per tali ragioni, secondo le autorità polacche si tratterebbe di un ‘trasporto illegale di rifiuti’ e sono oltre 45 le tonnellate di rifiuti (soprattutto plastici) italiani, provenienti dalla nostra raccolta differenziata, da oltre un anno al centro di una disputa, a suon di carte bollate, tra Polonia e Italia.
IL BOTTA E RISPOSTA TRA POLONIA E ITALIA – A luglio e a novembre 2018, l’ente polacco ha inviato due lettere alla Regione Campania, in particolare a UOD – Autorizzazioni Ambientali e Rifiuti di Napoli – presentando prova di quello che ritiene essere “un movimento transfrontaliero illegale di rifiuti dall’Italia alla Polonia”. Tuttavia, per l’autorità italiana “i rifiuti sono stati recuperati secondo la legge”, si legge nel dossier polacco. A dicembre dello scorso anno UOD ha negato “che ci sia alcuna prova ufficiale che la spedizione sia stata eseguita illegalmente e che i rifiuti siano stati scaricati al di fuori dell’impianto di recupero”. Contattata da Greenpeace, l’UOD della Regione Campania ha confermato che l’intera spedizione “è stata regolarmente consegnata e accettata dall’impianto di destinazione”, nonché correttamente recuperata. Da qui la scelta di lasciare in Polonia le balle italiane di plastica. I controlli si sono basati sulla “documentazione prodotta dalla ditta di spedizione AGF Umbria srl e dalla Società GUM Recycling (impianto di destinazione)” precisa l’organo tecnico della Regione Campania. L’impianto polacco destinatario dei rifiuti ha infatti certificato all’azienda di trasporto umbra “l’avvenuto corretto invio a recupero dei materiali”, liberando in questo modo tutti gli attori italiani da ogni responsabilità, dalle aziende che hanno inviato la spedizione, fino alla Regione deputata ai controlli e al Consorzio che ne ha gestito la raccolta e l’avvio al recupero.
UN EPISODIO NON ISOLATO – Eppure, stando a quanto trovato dall’autorità polacca, “i rifiuti non sono mai stati scaricati presso l’impianto”. Dopo aver ricevuto i dossier dalle autorità polacche, a fine settembre 2019, un team di Greenpeace si è recato in Polonia e ha documentato la presenza di almeno 50 balle di rifiuti italiani (solo tra quelle accessibili) nelle aree di pertinenza di un ex distributore di benzina. L’episodio si inserisce in un quadro più ampio e che si aggiunge ai tre casi di spedizione transfrontaliera illegale di rifiuti dall’Italia alla Polonia denunciati nel 2018. Le aziende italiane coinvolte in questa disputa transnazionale (Di Gennaro S.p.A. e AGF Umbria), replicando a Greenpeace, hanno confermato quanto dichiarato dall’UOD alle autorità polacche. Corepla ha dichiarato di “non essere a conoscenza del caso” e che “qualsiasi responsabilità da parte di Corepla è da escludere”.
LE FALLE DEL SISTEMA – Tuttavia, in Italia, i rifiuti urbani costituiti da imballaggi in plastica vengono gestiti in più del 90 per cento dei Comuni da Corepla. E proprio i consorzi, secondo Roberto Pennisi, procuratore presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, interpellato da Greenpeace, dovrebbero aiutare a garantire la tracciabilità della filiera. “Sulla carta è previsto che chi produce un rifiuto debba anche avere comunicazione di come sia stato smaltito – spiega – e questo avviene sempre, stando ai documenti. Ma un controllo di tutte queste fasi, non sempre c’è”. “Ormai è tutto basato sulle carte e i controlli reali sul territorio non li fa nessuno – conferma GianfrancoAmendola, già procuratore capo di Civitavecchia e docente di Diritto Penale dell’Ambiente presso l’università La Sapienza di Roma, secondo cui “il problema di fondo è che i rifiuti meno viaggiano meglio è. Dovrebbero essere smaltiti, recuperati o riciclati vicino al luogo in cui sono prodotti. Più un rifiuto cammina e più si presta a illegalità”. Oggi, invece, una volta raccolti, i rifiuti plastici sono consegnati ai Centri di selezione e stoccaggio (CSS) che operano per conto dei consorzi. Qui il rifiuto ‘pulito’ (destinato al riciclo) è separato dallo scarto che non andrà a riciclo. “Secondo Corepla – riporta Greenpeace – gli scarti dei CSS non sono di sua competenza”. Come precisa Antonello Ciotti, presidente del consorzio, “l’attività dei CSS genera una quota di scarti che non è di competenza di Corepla e che viene gestita a cura e spese degli stessi CSS”.
I LIMITI DEL RICICLO – Il problema è che la quota di raccolta differenziata scartata oscilla dal 20 al 50 per cento. Il risultato è che non tutta la plastica è intercettata dalla raccolta differenziata, e non tutta la plastica intercettata è effettivamente recuperata. D’altro canto, stando agli stessi dati di Corepla, di tutti gli imballaggi in plastica immessi al consumo, poco più del 40 per cento è effettivamente riciclato, mentre la parte restante viene bruciata negli inceneritori, inviata in discarica o dispersa nell’ambiente. “Questo caso – conclude Ungherese – conferma ancora una volta come il sistema non riesca a gestire i rifiuti in plastica in modo appropriato. Riciclare non è mai stata la soluzione, soprattutto con una produzione di plastica in vertiginosa crescita su scala globale. È necessario ridurre subito la produzione, a partire dalla frazione più problematica e spesso di difficile riciclo, rappresentata dall’usa e getta”.