Giovedì scorso in un quartiere a Sud di Reggio Calabria, la guardia di finanza ha perquisito i garage di un condominio. In uno di questi ha trovato oltre 2 chili e mezzo di esplosivo, un chilo e 100 grammi di cocaina, due pistole mitragliatrici, 6 fucili da caccia, un fucile a canne mozze, 4 pistole semiautomatiche, una pistola a tamburo calibro 38 special, due strozzatori per fucile da caccia e oltre 500 cartucce
Un arsenale con tanto di pistole, fucili, mitragliatrici ed esplosivo. Armi da guerra ma anche un panetto di cocaina, da oltre un chilo, con impresso il simbolo della massoneria. Forse un market dove le cosche si rifornivano in caso di necessità, una sorta di “store dell’illecito”. Più probabilmente, il segnale che a Reggio Calabria sta succedendo qualcosa nelle dinamiche della ‘ndrangheta dopo gli arresti dell’estate scorsa che hanno colpito la cosca Libri e i processi che, in questi anni, hanno portato in carcere i boss delle più importanti famiglie mafiose. Alcuni, però, sono usciti dopo aver scontato la loro pena. Altri stanno per farlo e pretendono più spazio nel territorio.
I sintomi di tensioni tra cosche ci sono tutti e i sequestri di armi eseguiti nelle ultime settimane lo dimostrano. L’ultimo è quello di giovedì scorso nella zona di via Sbarre Superiori, un quartiere a Sud di Reggio, dove nell’ambito di un’indagine “tradizionale” la guardia di finanza ha perquisito i garage di un condominio. In uno di questi gli uomini del colonnello Flavio Urbani, del maggiore Giovanni Andriani e del capitano Flavia Ndriollari hanno trovato oltre 2 chili e mezzo di esplosivo, un chilo e 100 grammi di cocaina, due pistole mitragliatrici, 6 fucili da caccia, un fucile a canne mozze, 4 pistole semiautomatiche, una pistola a tamburo calibro 38 special, due strozzatori per fucile da caccia e oltre 500 cartucce.
Il tutto era nascosto su un pianale di legno che costituiva un soppalco artigianale. Come ha riportato la Gazzetta del Sud, all’interno del garage sono state trovate anche numerose magliette e felpe con lo stemma e il nome di una squadra di calcio, l’ “A.S.D. San Giorgio”, che gioca in Promozione a Reggio Calabria. Ma anche una maglietta dell’Inter con il numero “10” e la scritta “Tullio”. Attorno all’abbigliamento, inoltre, c’erano residui di cocaina e imballaggi di confezionamento della droga.
In flagranza di reato è stato arrestato Giovanni D’Ascola, 31 anni. Era lui ad avere la disponibilità del garage di proprietà di un soggetto, risultato estraneo, che glielo aveva affittato. In realtà è proprio la figura dell’arrestato che spinge gli inquirenti a ritenere che dietro la “santabarbara” sequestrata in via Sbarre Superiori ci siano esponenti della criminalità organizzata. Già fermato nel 2007 perché trovato in possesso di alcune dosi di sostanza stupefacente, infatti, D’Ascola è imparentato con i boss Borghetto, storicamente federati alla cosca Libri e oggi, forse, intenzionati a ritagliarsi uno spazio più importante negli ambienti mafiosi reggini. Questo anche grazie ai rapporti che hanno stretto sia con le famiglie più influenti della città, sia con i gruppi criminali utilizzati, negli anni, come manovalanza. Se così fosse, alle tensioni che si stanno registrando da tempo nella zona di Gallico (periferia nord di Reggio), si aggiungerebbero quelle del rione Modena-Ciccarello territorio dei Borghetto-Zindato.
Il potenziale dell’arsenale sequestrato farebbe ipotizzare che D’Ascola abbia avuto dei complici rimasti a piede libero. Secondo gli inquirenti, non ci sono dubbi che è stato lui ad affittare il garage. Di certo, però, non ha lo spessore criminale per agire da solo. Ecco perché il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e il sostituto della Dda Walter Ignazitto stanno indagando per capire se D’Ascola sia uno degli armatori della ‘ndrangheta o solo la “testa di legno” utilizzata da chi quelle armi è in grado di utilizzarle. Anche la scritta “Tullio” stampata nella maglietta numero 10 dell’Inter rimanda al nome di battesimo di alcuni esponenti della famiglia Borghetto, molti dei quali appassionati di calcio e coinvolti in recenti inchieste contro la ‘ndrangheta.
Saranno le successive indagini a fornire ai pm nuovi elementi sull’ipotesi che qualcuno, in riva allo Stretto, è pronto a gesti eclatanti. Resta da capire a cosa servivano le mitragliatrici e le pistole. Ma soprattutto gli oltre due chili di gelatina dinamite, a base di nitroglicerina, ad altissimo potenziale. Si tratta di un esplosivo particolarmente sensibile che, dopo la campionatura, è stato distrutto dalla guardia di finanza perché, decomponendosi, sarebbe diventato altamente instabile. Se assemblato correttamente alla miccia a lenta combustione e al detonatore sequestrati all’interno del garage, le cosche avrebbero potuto utilizzarlo per la realizzazione di un cosiddetto I.E.D. (Improvised Explosive Device), una bomba con elevatissime capacità offensive. In altre parole: ordigni che, se esplodessero, a Reggio Calabria potrebbero provocare danni superiori alle mine anticarro che si usano in guerra.