Nella chat erano presenti video pedopornografici e con immagini di violenza su ebrei, malati e bambini. Nel mirino dei militari, che sono riusciti a risalire agli amministratori del gruppo, ora ci sono 25 ragazzi
“Mi è crollato il mondo addosso. Ero sconvolta dai video pedopornografici che ho trovato sul telefonino di mio figlio tredicenne“. Racconta così a La Stampa la madre che, dopo aver ha scoperto la chat di Whatsapp, chiamata “The shoah party“, ha fatto scattare le indagini dei carabinieri. Nel mirino dei militari sono finiti 25 ragazzi di cui sedici minorenni tra i 13 e i 17 anni. Quelli imputabili sono indagati per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali.
“Lo scorso aprile ho controllato il telefono di mio figlio – spiega – . Tra me e mio figlio c’è un accordo: può usare il cellulare solo a patto che io lo possa controllare. Mi ha attirato il nome della chat che ho subito aperto”. E continua: “In un video ho visto due bambini, sotto i 10 anni, che avevano un rapporto omosessuale. Nell’altro un incontro a tre tra due maschi e una femmina, anche loro di età inferiore ai 10 anni. E poi c’erano video di violenza e soprusi su ebrei, malati e bambini. Senza contare che ogni messaggio iniziava con una bestemmia“.
La mamma ha poi raccontato di aver chiesto subito spiegazioni al figlio che si è giustificato dicendo di essere stato costretto ad accettare di entrare nella chat perché, i continui inviti, gli impallavano il telefonino e, dunque, gli impedivano di usarlo per i giochi. “Mi ha spiegato di aver aperto solo i primi due video che gli erano arrivati e di aver archiviato gli altri. Così ho scritto immediatamente sulla chat di classe, che ho con gli altri genitori, avendo riconosciuto alcuni compagni di scuola coinvolti nella chat. Gli altri genitori però hanno risposto con indifferenza: “Nessuno ha voluto denunciare. Non so se per vergogna o cos’altro. Mio figlio in questa vicenda risulta un testimone, non è indagato. Ma io comunque non mi sarei fermata in ogni caso”. Ora la giustizia sta facendo il suo corso.
I carabinieri, dopo un via libera della Procura, sono risaliti agli amministratori del gruppo, tutti residenti nella zona di Rivoli. Le indagini poi hanno portato a perquisizioni di diverse abitazioni in 13 province tra Toscana, Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria. Sono finite sotto sequestro decine di telefonini e computer che saranno affidati ad un consulente tecnico d’ufficio. Alla fine degli accertamenti, sarà valutata anche la capacità di potestà genitoriale nei confronti dei figli indagati e, dunque, un possibile intervento degli assistenti sociali.