Le accuse di tortura da parte dei giudici per quanto accaduto nel carcere di Torino seguono di pochi giorni quelle riguardanti le violenze consumate nella prigione di San Gimignano. Non molto prima Antigone aveva presentato un esposto per violenze avvenute nell’istituto penitenziario di Monza. In tutti e tre i casi compare la parola “tortura”, che finalmente si può nominare esplicitamente nelle Corti italiane da quando, nel luglio del 2017, il Parlamento tra mille dubbi previde un nuovo delitto da inserire all’interno del codice penale, così come richiesto dal diritto internazionale.
Non sappiamo come e quando finiranno questi processi. Sappiamo però che fornire un aprioristico e indiscriminato sostegno agli accusati è un modo per non aiutare le forze dell’ordine, composte per la gran parte da bravissime persone che avrebbero ogni vantaggio dall’identificare con chiarezza i pochi che non si comportano secondo etica e legge.
Inoltre, sappiamo che prevenire la tortura è importante quanto reprimerla. Per prevenirla è necessario muoversi su molteplici piani, molti dei quali realizzabili a livello amministrativo, ossia senza che ci sia bisogno di modificare la legislazione.
In primo luogo bisogna prevedere percorsi formativi multidisciplinari per chi lavora in contesti penitenziari. Non è sufficiente insegnare sul piano solo teorico la legislazione sui diritti umani. È necessario formare sul campo gli operatori, spiegando come affrontare in modo corretto le situazioni complesse. In secondo luogo è necessario costruire percorsi di carriera dove siano privilegiati quei funzionari che non si limitano ad assicurare il quieto vivere penitenziario, ma che danno vita a progetti articolati di reintegrazione sociale, nonché a modelli di vita interna tesi al benessere psicofisico di detenuti e personale. In terzo luogo bisogna aiutare i medici nelle loro funzioni di garanti della salute delle persone e ricordare loro tutti gli obblighi di certificazione di eventuali segni di violenza. In quarto luogo è necessario gratificare economicamente lo staff penitenziario in modo da renderlo più sereno. In quinto luogo bisogna favorire l’identificazione del personale di custodia e incrementare l’uso di videocamere nei luoghi più oscuri del carcere.
Oggi aspettiamo che le indagini facciano il loro corso. Lo straordinario lavoro di monitoraggio, indagine, denuncia che sta svolgendo l’ufficio del Garante nazionale delle persone private della libertà è uno dei motivi per i quali oggi molto di più si sa intorno a quel che accade nelle carceri. L’amministrazione penitenziaria sta inoltre dimostrando trasparenza e volontà di combattere gli abusi. Infine, il processo Cucchi sta smontando una tradizionale impunità delle forze dell’ordine. Tutto va nella direzione per sperare in un carcere diverso, dove la legge sia sempre a tutela delle persone e mai nessuno si senta sopra di essa.