Non ha alcun account social. È stato l’ultimo sportivo a vedere le donne in un palazzetto dello sport a Teheran. Ha plasmato la ‘generazione di fenomeni‘. A maggio ha annunciato l’addio alla panchina, dopo 44 anni di attività e 14 medaglie d’oro conquistate in varie competizioni. Eppure Julio Velasco è “oltre” tutto questo. Rappresenta la pallavolo a livello mondiale, è considerato e riconosciuto come un “maestro” di sport, ha fatto anche il dirigente di calcio – della Lazio prima e dell’Inter poi – così come il ‘mental coach’ per le aziende. In Iran è l’uomo che ha portato la Nazionale persiana a vincere nel 2011 il Campionato asiatico per la prima volta nella storia, ripetendosi nel 2013 a Dubai. In Italia ha vinto con la nazionale maschile, ha allenato quella femminile. Ora il “prof” ha deciso di “smettere per disporre del suo tempo” e dedicarsi, come dirigente, alle squadre giovanili della Federazione italiana pallavolo (Fipav).

Persino dirigenti di calcio usciti dal corso di Coverciano che l’hanno avuta come docente dicono che lei è un fenomeno.
È solo un modo di dire tipico del gergo calcistico. So che è molto apprezzato il fatto che concettualizzo in modo semplice. Spiego in modo comprensibile e questo a livello didattico è una buona cosa.

Ha cambiato vita usando la formula ‘prima del declino’. In cosa identifica il declino un uomo come lei?
Il declino nello sport viene determinato dalle possibilità di lavoro. Ho usato quella frase all’interno di un contesto più ampio, era quindi più una constatazione piuttosto che il motivo della mia decisione. Ho scelto di smettere per disporre del mio tempo. Un allenatore per 8 mesi non respira. Io voglio fare il padre, il nonno e l’amico.

Che significato ha per lei il termine leader è?
Per me leader è più maestro che capo. Un leader deve pensare molto agli altri, deve sapere dove vuole andare e come arrivarci. La parola leader viene troppo spesso confusa con la parola capo. Il capo è un’altra cosa. Ci sono capi che non sono leader. Ci sono giocatori che sono leader straordinari in campo, altri nel tempo libero come trascinatori dei compagni. Un leader può essere colui che va a parlare con il presidente per conto di tutti. Atleti che in campo sono campioni possono non essere leader.

Nella politica italiana riconosce dei leader?
Non mi interessa parlare di politica. Trovo però pericoloso ciò che sta accadendo oggi nella politica, non solo italiana. Spiego: l’essenza della democrazia non è solamente rappresentare il popolo. È anche la convivenza con chi la pensa in modo diverso, all’interno di meccanismi democratici che si possono anche perfezionare. Culturalmente si sta vivendo un periodo in cui la questione non è mettiamoci d’accordo per fare il meglio, ma piuttosto “io ho ragione”. In politica oggi si ragiona troppo secondo il concetto “mi piace”.

A proposito di “mi piace”, lei non ha una pagina web e nessun account social.
Una pagina web in effetti dovrei farla perché mi cercano nei modi più rocamboleschi, ma faccio fatica a immaginare una mia pagina web perché di solito sono tutte autocelebrative e a me non piacciono le autocelebrazioni. Non sono sui social perché non mi voglio intossicare, né a favore né contro.

Quali sono le soddisfazioni più grandi che ha ottenuto da se stesso e dagli sportivi che ha allenato?
Ho sempre detto che un allenatore deve curare quella che chiamo retroguardia, intendendo famiglia e amicizie. Esserci riuscito per me è una soddisfazione grande quanto quella di vivere di una cosa che mi piace molto. Lavorare facendo ciò che amo è un privilegio. Le soddisfazioni rispetto ai giocatori, oltre alle vittorie naturalmente, sono state tutte quelle fasi di miglioramento, di evoluzione che percepivo e vedevo. Lo stesso vale per i miei collaboratori.

Come è stato fare sport a Teheran, dove gli stadi di calcio sono tornati accessibili alle donne qualche giorno fa, dopo 40 anni di divieto.
Le donne allora non potevano entrare negli stadi di calcio mentre potevano seguire la pallavolo e infatti le tribune erano sempre gremite. Però fui l’ultimo allenatore a vedere un pubblico di donne anche per la pallavolo. Giocammo il venerdì contro il Giappone, fu una grande partita che vincemmo e fu un orgoglio per l’Iran. Il sabato non accadde nulla, la domenica un ayatollah stabilì l’allontanamento delle donne anche dai palazzetti. Dedicammo la vittoria a tutte le donne iraniane.

Durante una lezione come mental coach aziendale, tra le altre cose, ha sostenuto che il pianto di una donna ha lo stesso significato di un cazzotto sferrato da un uomo.
In entrambi i casi è una perdita di controllo. Un uomo che perde il controllo alza la voce, assume un atteggiamento fisico diverso e nelle peggiore delle ipotesi reagisce fisicamente. Una donna può reagire piangendo, ma in quel caso non è debolezza ma rabbia. In un contesto del genere chi guida quel gruppo dovrebbe chiedersi perché ha fatto perdere il controllo alla persona che ha davanti.

Come gestisce un gruppo di lavoro?
Credo molto nella gestione delle situazioni particolari tenendo conto delle differenze e delle sfumature che aiutano e valorizzano il concetto di equilibrio, il vero segreto di tutto. Se volessimo complicare le cose potremmo parlare di dialettiche opposte che nella realtà per me si traduce nello studiare a fondo e cercare di capire le diversità che compongono un gruppo.

Da allenatore?
Spiegando come intendevo lavorare e dicendo subito le cose che mi fanno arrabbiare.

Quali sono?
Che si parli male di un compagno – anche se ad alti livelli accedeva poco -, che si parli di quello che fanno gli altri (storico e il suo discorso sulla cultura dell’alibi, ndr), qualsiasi presunto “battesimo” di compagni più giovani, ma soprattutto la mancanza di volontà. Se una cosa non riesce, lavoriamo insieme per ottenerla ma se non hai voglia di fare, con me vai alla guerra.

Cosa sogna per la pallavolo italiana?
Stiamo lavorando sull’equilibrio tra il continuare a formare sempre più e nuove eccellenze, giocatori di “élite”, ma contemporaneamente uniformare il livello tecnico delle varie regioni d’Italia. Anche con progetti che puntino a trovare soluzioni strutturali per favorire la pratica della pallavolo dei giovani. Magari incrementando il numero dei maschi. Da noi le atlete restano la maggioranza.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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