Cinema

Pavarotti, il nuovo documentario di Ron Howard offre un ritratto umanissimo e grandioso del Maestro

“Accanto all’indiscutibile ammirazione per l’artista e per l’uomo, sono rimasto affascinato dalla sua vita perché mi sono accorta di quanto riflettesse le opere che interpretava, soprattutto col passare degli anni: un’esistenza melodrammatica. E questa è una connessione che ho trovato con alcuni dei grandissimi attori che ho diretto in carriera”, spiega l’ex Ricky Cunningham di Happy Days che da allora, di carriera, ne ha fatta ed è felice di presentare in prima internazionale il suo doc alla 14ma Festa del Cinema di Roma

di Anna Maria Pasetti

“Alcuni sanno cantare l’opera. Luciano Pavarotti era un’opera”. Bono dixit, ed è noto che il leader degli U2 fosse uno dei più cari amici di Big Luciano. Pavarotti, il nuovo documentario su artisti musicali di Ron Howard, sembra partire da questa verità per poi svilupparla in un ritratto umanissimo e grandioso, almeno quanto la sua vita e la sua voce. Perché se è vero che la grandezza dell’artista modenese non abbia bisogno di presentazioni, non era scontato che il regista americano riuscisse ad estrarne l’aura umana per confermare la sua divinità in terra. “Accanto all’indiscutibile ammirazione per l’artista e per l’uomo, sono rimasto affascinato dalla sua vita perché mi sono accorta di quanto riflettesse le opere che interpretava, soprattutto col passare degli anni: un’esistenza melodrammatica. E questa è una connessione che ho trovato con alcuni dei grandissimi attori che ho diretto in carriera”, spiega l’ex Ricky Cunningham di Happy Days che da allora, di carriera, ne ha fatta ed è felice di presentare in prima internazionale il suo doc alla 14ma Festa del Cinema di Roma accompagnato dall’ultima vedova di Big Luciano, Nicoletta Mantovani, “una miniera generosa e puntuale nell’aprirci l’archivio della sua Fondazione che abbiamo interamente visionato in un anno di tempo”.

Non c’è dubbio che la figura di Big Luciano abbia le caratteristiche del tipico eroe americano, colui che con umiltà ma determinazione insegue e realizza sogni impossibili, e per questo non deve stupire il doc a lui dedicato rientri con coerenza nella filmografia di Howard che spesso – e talvolta erroneamente – è considerato superficiale ritrattista di personaggi ed imprese del nostro tempo. “Il suo nome – continua il cineasta premio Oscar per A Beautiful Mind – equivale alla lirica come Mohammed Alì al pugilato, stiamo parlando di un’icona assoluta”. E anche per questo, indubbiamente, creare una sintesi di una vita/carriera così bigger than life era un rischio quanto una sfida. Ma Howard, alimentato forse dalla stessa umiltà di Big Luciano verso le scoperte della vita (“veniamo entrambi da origini umili, con formazioni modeste”) è riuscito ad intuire ed informare il “carattere” di Pavarotti mantenendone tuttavia intatto quel mistero che pervade ogni grande star nel corso del tempo. In tal senso, se è riuscito a mostrare quella rara combinazione di genio artistico e valore umano del Maestro, il regista col suo fidato produttore Nigel Sinclair (anch’egli presente a Roma, e responsabile delle ben 53 interviste realizzate per il film) sono stati in grado di amplificare e approfondire la storia famigliare e privata di Luciano creando l’unica possibile identificazione con il pubblico “perché tutti abbiamo una famiglia, più o meno, mentre quel talento e quella popolarità direi nessuno!”. Nel doc emergono perle preziose come le dichiarazioni – spesso dolorose seppur non più rancorose per i tradimenti accertati dell’artista – della prima moglie Adua Veroni e le tre figlie Cristina, Lorenza e Giuliana Pavarotti e la confidenza del tenore di aver rischiato di morire da piccolo di tetano “da quel momento la mia vita è stata un’opportunità da non buttare, anzi un dono continuo da omaggiare e da donare a sua volta agli altri”.

È stata una vita in viaggio in ogni senso quella di Luciano Pavarotti, “anima non semplice ma assai complessa, benché bonaria e certamente benefica. Più lo studiavo e ascoltavo più ne apprezzavo la sua gioia, pur continuando a vedere il dolore nei suoi occhi, specie quando era lontano dai suoi cari” incalza Ron Howard. Accanto agli aspetti privati e più intimi, certamente il film non manca di riportare in scena la maestosità delle sue performance, la straordinarietà di un voce chiara e cristallina, potente e luminosa come nessun altro nella storia della voce tenorile. Dunque perfomance di opere, recital ed anche il suo impegno ossessivo nella beneficienza e nella divulgazione dell’opera in giro per il mondo – divertente il viaggio nella Cina che nulla sapeva della lirica occidentale – nella diffusione del “bel canto” da rendere accessibile a ogni generazione, lingua e cultura. Con l’inconfondibile sorriso stampato sul volto largo, Big Luciano ha umilmente scalato un successo planetario senza precedenti per un cantante lirico, pari solo ai suoi amici rockstar. E tra di essi, per tornare al nostro incipit, ciò che più resta delle testimonianze è proprio quella di Bono Vox che da lui fu “stalkerato” con telefonate a casa affinché scrivesse una canzone da interpretare insieme. “Fece amicizia con la nostra domestica italiana, c’era un filo misterioso fra loro, alla fine mi ha letteralmente coinvolto nella sua vita” rivela commosso il divo irlandese ammonendo anche chi ha criticato la voce meno corposa degli ultimi anni di Pavarotti: “invecchiando la sua voce non più interpreta l’opera, ma la vive”. Qualcosa che forse Bono stava dicendo anche a se stesso, dandoci una bella lezione sul vissuto degli artisti che invecchiano, lui compreso. Il film, prodotto dagli USA, Regno Unito e dalle italiane Wildside e Tim Vision, uscirà per Nexo Digital nelle sale dal 28 al 30 ottobre come evento.

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