Ai domiciliari l'avvocato Raffaele Cristalli De Bonis, il luogotenente Paolo D'Apolito e Biagio Di Lascio, collaboratore di Marcello Pittella. Per la procura il il militare, in servizio all'Intelligence, veniva pagato dal legale per avere informazioni riservate. E fornì anche dettagli sulla vita privata del presidente della Regione. Il portaborse dell'ex governatore è accusato invece di essere la "cinghia di trasmissione" tra i clienti di De Bonis e gli uffici della Regione. Indagato e perquisito lo stesso Pittella, con il quale si parlava attraverso 'pizzini': "Tranquillo e certo della mia estraneità"
C’è un avvocato 85enne che assiste clienti facoltosi, gode di fama di uomo potente ed è intermediario di grandi affari. Accanto a lui un luogotenente della Guardia di finanza in servizio nell’Ufficio Intelligence che sbircia nelle banche dati e acquisisce informazioni riservate da smerciare al legale in cambio di denaro. Regali per suo figlio, li chiamano tra loro. E poi c’è il portaborse dell’ex governatore Marcello Pittella, con il quale si parla rigorosamente solo tramite pizzini dopo la baraonda giudiziaria che lo aveva travolto. Si scambiano favori, mazzette e sussurrano nell’orecchio anche notizie confidenziali. Su indagini, pratiche bloccate e anche sulla vita privata di Vito Bardi, governatore della Basilicata (nella foto in evidenza).
Corruzione e traffico di influenze – Il quadro dipinto dal gip del Tribunale di Potenza, Antonello Amodeo, nell’ordinanza di custodia cautelare che giovedì ha portato agli arresti domiciliari l’avvocato Raffaele Cristalli De Bonis, il finanziere Paolo D’Apolito e il portaborse Biagio Di Lascio sarebbe una storia classica di corruzione. In mezzo ci sono due mazzette da 5mila euro e una promessa da 7mila. Questioni private, legate a un’inchiesta in cui il legale è parte lesa e alle sue preoccupazioni su come la figlia spendesse il suo stipendio. Se non fosse che in questa vicenda – stando alla ricostruzione fornita dalla procura guidata da Francesco Curcio e validata dal giudice per le indagini preliminari – ci siano di mezzo anche 25mila euro per la campagna elettorale di Pittella e ci sia finito suo malgrado anche Vito Bardi, candidato dal centrodestra e vincitore delle Regionali dello scorso marzo.
Indagato anche Pittella – Una sorta di dossieraggio contro il neo-eletto governatore, che prima della pensione era proprio ai vertici della Guardia di Finanza, sarebbe stato portato avanti in totale autonomia da D’Apolito, ma comunicato a De Bonis, uomo che nelle carte dell’inchiesta viene definito vicino al centrosinistra e “amico” di Pittella, pure lui indagato e per il quale è stato disposto il sequestro del cellulare. A neanche ventiquattr’ore dalla sua elezione, il finanziere è nello studio dell’avvocato e parla del “quartier generale” di Bardi a Napoli. Le microspie registrano: “Ti faccio una confidenza… (…) stamattina che mi ha detto il generale? (…) ‘Mi sa che dobbiamo fare un po’ di appostamenti a Napoli'”. Sapeva molto, D’Apolito, del neo presidente di Regione e “riferiva – scrive il gip facendo sua la ricostruzione della procura – con dovizia di particolari l’esatta ubicazione della villa di proprietà della famiglia” di Bardi a Filiano, nel Potentino.
Le informazioni riservate su Bardi – Il finanziere, stando all’inchiesta, “risultava a conoscenza di particolari non solo dell’esatta ubicazione della villa ma anche delle persone che la frequentano, tanto da sapere che un suo collega in pensione aveva il compito di fare da guardiano”. Dettagli che “possono emergere solo in seguito ad un servizio di osservazione, controllo e pedinamento”, è la tesi della procura. “Praticamente, come prendi quella strada, meno di un chilometro, sulla sinistra ha questa casa, diciamo decorosa, ma non… non è una villa – racconta D’Apolito all’avvocato – Però noi già teniamo la villa di Arcore di Filiano… cioè teniamo già il custode… che è un ex collega nostro… che gli va a fare le pulizie, gli fa le… gli apre le finestre, gliele chiude, fa prendere aria, gli fa il giardino, gli fa l’orto…”. E poi giù con commenti sui risultati elettorali del centrosinistra (“Se era candidato Vito De Filippo noi vincevamo a filo diritto”) e la performance di Pittella (“Novemila voti sono sempre novemila voti”) e i suoi problemi giudiziari: “È un atto persecutorio, quello sarà assolto (…) È vergognoso così come fanno con Marcello”. I due, precisa il giudice, sono vicini “ai gruppi politici legati a Marcello Pittella” e “contrapposti a quelli che sostenevano la candidatura di Bardi”.
Di Lascio, la “cinghia di trasmissione” – De Bonis strizzava spesso l’occhio alla politica. In questo contesto si inserirebbero le “assidue frequentazioni” con Biagio Di Lascio, portaborse di Pittella, il quale secondo la procura “non avrebbe alcun motivo professionale per frequentare in modo così assiduo i De Bonis (anche il figlio, non indagato, ndr)” se non quello di “fungere da cinghia di trasmissione” tra i due, i “loro clienti imprenditori” e “l’apparato politico amministrativo regionale” che, sottolinea il pm, “ruotava unito e compatto attorno alla figura di Marcello Pittella”. In più occasioni, stando all’inchiesta, l’avvocato aveva contattato Di Lascio per “caldeggiare alcune vicende che interessano il noto imprenditore altamurano Vito Barozzi”. In questo contesto, sostiene l’accusa, il giorno successivo alle elezioni De Bonis avrebbe consegnato 25mila euro in contanti “per sostenere la campagna elettorale” di Pittella e “riusciva a ottenere diversi incontri” in Regione Basilicata “per parlare ‘di persona’ delle vicende che interessano” Barozzi, la cui impresa Cobar “gestiva un imponente opera pubblica”, lo Schema idrico Basento. Un appalto da circa 100 milioni di euro. Secondo il giudice Amodeo, “deve ritenersi che soltanto formalmente” la somma fosse per la campagna elettorale: “In realtà il denaro appare piuttosto (…) un vantaggio economico riconosciuto per la mediazione” del portaborse di Pittella “negli affari di De Bonis e dei suoi clienti (Vito Barozzi in primis) con gli Uffici regionali”.
I “pizzini” per Pittella – Per il gip, “emerge altresì l’utilizzo di ‘pizzini’ da parte di De Bonis contenenti comunicazioni destinate a Marcello Pittella” nonché “la consegna di pizzini da De Bonis al Di Lascio nel corso degli incontri tra i due”. Una “pratica comunicativa” che “evidentemente”, aggiunge il magistrato, “lascia intendere come anche sotto questo aspetto” Di Lascio “assumesse il ruolo di mediatore a disposizione” di De Bonis “per comunicazioni con referenti dell’amministrazione regionale”. Per spiegare il modus operandi, nelle carte è riportata un’intercettazione dell’avvocato: “Mo abbiamo stabilito, quando gli devo dire una cosa (…) gli devo fare un pizzino, rigorosamente…”, diceva De Bonis riferendosi alle sue comunicazioni con l’ex governatore. “In piena serenità dichiaro la mia totale disponibilità a chiarire ogni aspetto della vicenda giudiziaria”, è stato il commento di Pittella che si è detto “molto tranquillo” perché “forte della certezza della mia più totale estraneità ai fatti”.
Le mazzette – Il cuore dell’inchiesta, quello che ha portato alle esigenze cautelari, è legato, per quanto riguarda il finanziere e l’avvocato, a due mazzette da 5mila euro. Secondo i pm, D’Apolito le ha intascate entrambe a cavallo tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Una per aver fornito informazioni riservate a De Bonis sulla situazione patrimoniale della figlia, l’altra per averlo aggiornato su un’indagine in corso della Guardia di finanza nata da una denuncia che il legale aveva fatto. C’è poi a un terzo pagamento da 7mila euro promesso ad agosto per una nuova tranche di informazioni. “Tieni qua, dobbiamo fare le cose per bene”, diceva De Bonis a D’Apolito nel suo studio mentre, ritengono gli inquirenti, consegnava la mazzetta. “Dalli al ragazzo”, aggiungeva riferendosi al figlio del finanziere. Un rimando con il quale, secondo il gip, “per pudore” venivano definite le somme: “Regalie per il figliolo”. I passaggi di denaro, sottolinea il magistrato basandosi sulla ricostruzione della procura, “non sono in alcun modo giustificati o comunque riconducibili a concrete operazioni lecite”.