Il tratto centrale della Metro C di Roma, da Fori Imperiali a piazzale Clodio, potrebbe determinare “un costo aggiuntivo di circa 2,5 miliardi di euro, al momento non finanziato, con un orizzonte temporale difficilmente ipotizzabile”. Basti considerare che nell’ultimo anno sono già state previste “nuove varianti” pari a 100 milioni di euro e che “nei primi mesi del 2019” sono state “iscritte ulteriori riserve per 400 milioni di euro”. La stima totale, considerando i 3 miliardi preventivati per la tratta Pantano-Fori Imperiali, raggiungerebbe “almeno” quota 5,5 miliardi di euro. Importo monstre mai ipotizzato dopo gli accordi transattivi del 2013 e ben lontana dal quadro economico di 3,7 miliardi consegnato al Cipe e già comprensivo degli oltre 700 milioni di extracosti maturati negli ultimi 14 anni.
La relazione tecnica
La cifra è stata messa nero su bianco dai tecnici del Campidoglio in una relazione tecnica allegata alla lettera – di cui ha dato notizia l’agenzia Dire – inviata mercoledì dalla sindaca Virginia Raggi al premier Giuseppe Conte e ai ministri Paola De Micheli (Trasporti) e Roberto Gualtieri (Finanze), in cui si chiede che la realizzazione dell’opera non venga commissariata dal governo, come invece chiede il Partito Democratico. La “ragionevole stima” è stata ottenuta “proiettando le medesime soluzioni tecniche e le condizioni economiche sin qui sostenute”, considerando che “l’opera è stata sostanzialmente modificata sia in ordine alle soluzioni tecniche adottate per il realizzo, con conseguenze sulla funzionalità dell’infrastruttura, sia in ordine agli aspetti contrattuali in ragione dell’ingente azione amministrativa in itinere intrapresa da Roma Metropolitane”, la società capitolina che fa da stazione appaltante e che il Comune si appresta a liquidare.
Nuove varianti e contenziosi infiniti
Nel documento, come detto, si dà notizia di nuovi extracosti, che vanno dunque a correggere al rialzo le stime aggiornate alla delibera Cipe 127/2012 e al cosiddetto “atto transattivo” del 2013 fra Roma Metropolitane e il consorzio di imprese costruttrici formato da Vianini Lavori (gruppo Caltagirone), Astaldi, Hitachi, Ccc e Cmb. Nella relazione dell’amministratore unico di Roma Metropolitane, Marco Santucci, si apprende che oltre alla variante per la realizzazione dell’archeostazione di Amba Aradam – dove è stata rinvenuta un’antica caserma romana risalente all’epoca dell’imperatore Adriano – le parti hanno concordato anche una “variante sicurezza in galleria” per la realizzazione di “due cuniculi di collegamento nella tratta compresa fra Amba Aradam e Fori Imperiali” e anche una “variante delle sistemazioni esterne della stazione Fori Imperiali (Clivo di Acilio), mentre sulla “variante stazione Fori Imperiali” la discussione è ancora aperta.
I contenziosi risolti
Ribadito che tutti i contenziosi precedenti al 2012 – quasi 2 miliardi – sono stati “risolti” con l’arbitrato finanziato dal ministero dei Trasporti nello stesso anno (e finito all’attenzione di Corte dei Conti e Procura di Roma), ad oggi esiste un procedimento in sede civile presentato dal Consorzio Metro C Scpa per circa 380 milioni di euro e “ulteriori riserve nella contabilità per circa 400 milioni di euro”, per un totale di quasi 800 milioni di euro: “Perdurando l’inesistenza di elementi contrattuali certi e invalicabili – si legge nella nota tecnica firmata dal dirigente capitolino Marco Vona – anche solo il trascorrere del tempo produce inevitabilmente ulteriori riserve”.
Il caso della tratta Fori-Venezia e il taglio dello scambio
Assolutamente esplicativo del cul de sac raggiunto dal progetto della linea C è la cifra esorbitante paventata per la realizzazione del tratto che va da Colosseo a piazza Venezia, poche centinaia di metri che secondo i costruttori arriverebbero a costare ben 820 milioni di euro, successivamente ridotti con altro progetto a 550 milioni. Una “revisione progettuale” quest’ultima che, secondo il Comune “eliminava la comunicazione tra i binari atta a garantire la necessaria frequenza dei treni e la conseguente capacità dell’infrastruttura. “Tali proposte – si legge – sono state ritenute inaccettabili poiché non in grado di fornire soluzioni praticabili, arrivando al paradosso che più si allunga la linea e più si rallentano i passaggi dei treni, vanificando i benefici dell’allungamento della tratta”. Il risultato è che, nonostante il finanziamento stanziato dal Cipe per 148 milioni di euro, sulla stazione di Piazza Venezia non si è ancora deciso nulla. Il costruttori, vista la bocciatura dei progetti, ha reagito decidendo la tombatura definitiva delle talpe sotto via dei Fori Imperiali e l’iscrizioni di un nuovo, ennesimo contenzioso: se si vorrà completare l’opera, bisognerà ricominciare a scavare in senso inverso, partendo da Clodio e andando a ritroso in direzione del centro storico.
L’appello di Raggi e l’ipotesi rescissione del contratto
Nel corso degli anni i magistrati hanno messo sotto la lente il rapporto fra Roma Metropolitane – nata nel 2005 su volontà della giunta Veltroni – e il Consorzio Metro C, fatta di “atti incomprensibili”, “atti concordati fra le parti” e “riserve mai verificate con clausole pattizie”, come si legge negli atti della Corte dei Conti archiviati nel 2018 per decorrenza dei termini di prescrizione. In particolare, come ricordato anche nella relazione tecnica del Campidoglio, questa continuità fra le parti ha portato alla “riduzione del prefinanziamento sull’ammontare dell’opera dal 20% al 2%” (il Consorzio aveva vinto la gara d’appalto, negli anni 2000, promettendo un anticipo di 200 milioni di euro in realtà poi garantiti “senza motivo” dalla società capitolina), alla “riduzione di materiale rotabile da 22 a 16 treni”, alla “nuova programmazione per la realizzazione e la messa in esercizio dell’opera con l’introduzione di premi di accelerazione per tratte funzionali parziali” e alla “rimodulazione degli oneri di progettazione”.
“Serve discontinuità”
Un contratto, quello fra Comune di Roma e costruttori, che secondo Virginia Raggi “nel corso degli anni è risultato snaturato”. Per questo, secondo la sindaca “è necessario operare con significativa discontinuità rispetto al passato sia in relazione alle necessità cogenti di prosecuzione della commessa, sia in riferimento all’accertamento di eventuali responsabilità”. E a quanto apprende Ilfattoquotidiano.it da autorevoli fonti, la soluzione prospettata dal Comune è quella di arrivare o a una rimodulazione del contratto con i costruttori, oppure alla rescissione. Decisione, tuttavia, di cui dovrà farsi carico il Governo nazionale, che finanzia l’opera per il 70%. Contattato l’ufficio stampa, il Consorzio Metro C Scpa fa sapere di non voler rilasciare dichiarazioni.