Uno in piazza San Giovanni a Roma per convincere che “il traditore” non è lui, ma quelli rimasti nel Palazzo. L’altro alla Leopolda di Firenze, per la prima volta leader senza alibi di un partito tutto suo. E’ il sabato dei due Matteo, i due veri disturbatori del governo Conte 2: solo martedì si sono sfidati nella terza Camera di Bruno Vespa e oggi affrontano ognuno la sua piazza. Il primo, Salvini, gioca tutte le carte su una mobilitazione di massa: ancora pallido per i postumi da colica renale (o, dicono i maligni, per le botte prese su Rai1 dall’ex premier), dovrà riuscire a domare la sua gente tra i malumori di un pezzo di Forza Italia per la presenza dei neofascisti di Casapound, le ambizioni di Giorgia Meloni e le battute sconce di Silvio Berlusconi che si rifiuta di mollare il palco. Il secondo, Renzi, punta sulla vittoria in casa: lo scissionista del partito che ha guidato per 4 anni finora ha sfondato più sui giornali che nei sondaggi e riparte là dove dieci anni fa lanciò il ritornello sulla rottamazione senza sapere che avrebbe creato un mostro. Spera di sfruttare la scia positiva dello scontro tv con “la Bestia” comunicativa di Salvini, ma è perseguitato dal fantasma di quello che avrebbe potuto essere se non avesse dilapidato i suoi consensi. Punterà tutto sugli orfani (da sinistra a destra) e giocherà a far ballare il governo. Insomma, sette giorni fa i ministri M5s e il premier sfilavano a Napoli per festeggiare i 10 anni del Movimento 5 stelle e assicurare lunga vita all’alleanza giallorossa. Oggi è il turno di chi vuole rovinare la festa. In contemporanea, proprio nel sabato delle piazze dei due Matteo, il leader Pd Nicola Zingaretti sarà in Umbria a fare campagna elettorale per le Regionali. Da solo, nonostante condivida il candidato con i 5 stelle che, pur avendo firmato il patto civico, da quelle parti si tengono lontanissimi. Se non è un exit poll, poco ci manca.
Ore 15: Salvini, Meloni e Berlusconi (e Casapound) in piazza San Giovanni
Fallito il tentativo di spaccare il governo e tornare alle urne per prendersi i “pieni poteri“, oggi Salvini si riprenderà i riflettori per dimostrare che in qualche modo un piano in testa ce l’ha. E’ una prova di forza soprattutto mediatica, che l’ex ministro cerca da settimane, dal momento in cui è finito all’angolo (nel discorso pubblico, privato della ribalta del Viminale). Il leader del Carroccio se la gioca tutta sull’impatto d’immagine: se i numeri di certo non lo spaventano (partono decine di pullman da tutta Italia), piuttosto lo preoccupa dover tenere a bada gli alleati, tra chi vuole superarlo in sovranismo e chi lo frena dalla parte dei “moderati”.
Il clima è glaciale: dopo i vari salti mortali del leader leghista (prima visto come traditore per aver governato per un anno con i 5 stelle, poi visto come traditore seconda una volta per essere tornato nella casa del centrodestra), gli alleati fingono che vada tutto bene, ipnotizzati dai sondaggi. Fare la scaletta per gli interventi sul palco è stato un inferno. Da una parte c’è Fratelli d’Italia che da settimane è diventato rifugio per i delusi e non fa che crescere nei sondaggi: Giorgia Meloni sa che è il suo momento e chiede più spazio. Dall’altra non si sgancia Silvio Berlusconi: “Sono vecchietto, ma non mollo mai”, ha detto nell’ultima conferenza stampa a tre. Ecco, tanto basta per far strabuzzare gli occhi a Salvini che non riesce a liberarsi del padre fondatore e già trema all’idea dello sketch con l’ennesima barzelletta volgare sul palco. Perché, ora che Silvio non conta quasi più niente, è ancora più difficile fingere di ridere.
L’ex Cavaliere in realtà i problemi ce li ha tutti in casa: gli azzurri vedono i consensi sparire e proprio non ce la possono fare a dividere la piazza con i neofascisti di Casapound. La deputata Mara Carfagna poche settimane fa si è fatta leader dei “resistenti” contro le sirene di Matteo Renzi che corteggiava i forzisti perché andassero in Italia Viva. Al solo pensiero però di sfilare con le bandiere a tartaruga di Iannone e Di Stefano, ha iniziato a tentennare. Di tutto questo Salvini dovrà occuparsi oggi perché molto si capirà del futuro da come saprà organizzare la sua piazza così eterogenea, dagli ex democristiani ai neofascisti.
Il consenso – personale e della Lega – finora è stato la sua assicurazione sulla vita. Ma il faccia a faccia stanco in tv con Matteo Renzi è stato un primo segnale di allarme: l’avversario preparato manco fosse un esame di maturità, lui ridotto ad abbozzare risposte o sforzare sorrisini tra un silenzio e l’altro. “Io sto al 33% e lui al 4”, è una delle poche repliche che ha messo a segno. Come se nemmeno valesse la pena fare tutta quella fatica per uno così in fondo nella scala. Eppure Salvini la lezione dovrebbe averla imparata proprio dal suo avversario: oggi sarà anche in cima, domani chissà. Di rischio quest’estate ne ha corso molto, senza che nessuno sappia davvero perché, e di botte ne ha prese ancora di più, ma per ora è la piazza a dargli diritto di parola. Quella piazza deve curare se vuole tornare al governo e questa volta farlo da solo.
Renzi lancia il suo partito alla Leopolda
Se non fosse il decimo anno che organizza la convention alla Leopolda, quello di Renzi avrebbe tutto il sapore di un debutto. Perché se mai prima d’ora aveva potuto dirlo apertamente, questa volta non c’è più niente da nascondere: l’ex segretario e premier Pd non solo ha un partito suo, ma è alleato del governo e può permettersi (glielo fanno fare) di fare richieste e sbattere i pugni (come sull’emendamento per abolire quota 100) e non è detto che al tavolo ci resti per sempre. L’anno scorso la kermesse si aprì con la canzone Noi siamo quelli che restano (De Gregori-Elisa) e a ripensarci oggi sembra una barzelletta. Possibile che li abbia fregati così? Ormai l’avevano previsto così tante volte che se ne sarebbe andato, che quando è successo qualcuno si è stupito davvero.
Il faccia a faccia con Salvini su Rai1 ha fatto emettere il giudizio finale: è davvero la promessa sprecata con il futuro già tutto dietro le spalle. Quello che lo guardi e ti chiedi come ha fatto a bruciare un patrimonio di voti come il 40 per cento delle Europee 2014. E’ stata una corsa al piegarsi su se stesso che alla fine della maratona lo ha portato al punto di partenza. Attenzione però, perché la botta non ha voluto dire tornare più umile, anzi. Si crede così tanto lo statista che reinventerà il centro, che finisce per convincere chi gli sta intorno. Anche per questo, nel pieno dell’estate più assurda per la politica italiana, si è imposto come regista. Lui ha detto sì ai 5 stelle per primo. E, ancora lui, ha sdoganato il “Conte premier perché no”, mettendo il Pd nell’imbarazzo di tornare sulle proprie scelte, pronunciate un attimo prima. Ed è stato sempre lui che se ne è andato dal partito un po’ come se fosse la cosa più semplice, spogliandosi in un attimo della responsabilità e dello stile da ex segretario.
Ne ha prese di botte e continua a prenderne: i sondaggi sono bassi malgrado le continue ospitate sui media e l’immagine non beneficia di certo della condanna in primo grado dei suoi genitori per la storia delle fatture false. Dettagli non di poco conto per uno che, sul famoso storytelling da leader, ha puntato tutto.
Però in questo weekend la scena è di nuovo sua. Perché, sarà anche in fondo alla scala rispetto a Salvini, ma alla Leopolda guardano in tanti e non solo i suoi fedelissimi. E non solo dal centrosinistra. Lui apre le porte a tutti, “oltre le ideologie“, come gli sarebbe tanto piaciuto dire quando aveva in mano il Pd. Dalla sua ha i numeri in Parlamento: i suoi 17 senatori a Palazzo Madama possono cambiare le sorti del Conte 2 al primo voto delicato e le due ministre in Consiglio non perdono occasione per alzare la posta.
Il risultato per ora è surreale: Renzi ha messo il Pd al muro per accettare l’accordo con i 5 stelle, i democratici vanno tutto sommato d’amore e d’accordo con i grillini e chi fa tremare l’alleanza è proprio Renzi. Tanto che Italia Viva ha sostituito la Lega nella sfida a colpi di veline anonime con i 5 stelle. Certo il peso elettorale è diverso e soprattutto i renziani non possono permettersi di tornare alle urne proprio adesso. Ma se c’è un gruppo di disturbatori del governo, sicuramente c’è dentro pure lui. E se Salvini fa sul serio e vuole tornare a votare il prima possibile, sa che quella di Renzi è prima o poi una delle porte a cui bussare.