La Spagna stretta tra nazionalismo e indipendentismo è lo specchio di un’Europa sempre più in crisi di identità. L’indipendentismo catalano, come quello basco e come altri nella penisola iberica, ha radici storiche e culturali profonde. Paragonarlo a fenomeni nostrani come il leghismo non solo è riduttivo, ma significa non capire fino in fondo qual è la natura del problema che abbiamo davanti. Non si tratta di una semplice rivendicazione economica, una secessione dei ricchi per intenderci, ma di un movimento che si fonda sulla rivendicazione di una identità in primo luogo culturale e linguistica che per decenni è stata negata dal governo centrale spagnolo durante gli anni della dittatura franchista.
Ed è proprio da questa considerazione che bisogna partire per comprendere fino in fondo cosa accade in Spagna: questo è un paese che non ha mai fatto i conti con il proprio passato, che è uscito dalla dittatura senza alcun processo di rottura e che ha continuato ad essere governato da uomini del sistema di potere franchista che ancora oggi ha rappresentanza nel Partito Popolare e nell’estrema destra spagnola.
Tra la miriade dei cartelli che sfilavano nell’enorme corteo dell’altro giorno per le strade di Barcellona uno più di tutti mi ha colpito. Quel cartello recitava: “Immagina che Hitler abbia vinto la guerra. La nostra realtà è che Franco lo ha fatto”. C’è quindi anche questo nello scontro sull’indipendenza della Catalogna, una resa dei conti tra i catalani ed una classe dirigente considerata indistintamente corresponsabile di anni di negazione di diritti e libertà.
Nella polarizzazione dello scontro e nella radicalizzazione del dibattito pubblico scompaiono quindi le posizioni più razionali, quelle che investono su una soluzione politica, che provano ad affrontare alla radice i problemi. Come quelle della sindaca di Barcellona Ada Colau e di chi continua a chiedere la riapertura di un negoziato, processi democratici e possibilità federaliste per la Spagna.
Ma la verità è che lo scontro in atto fa comodo a tutte le parti in causa: fa comodo agli indipendentisti che continuando ad accumulare consenso legittimati da una destra nazionalista che a sua volta fa lo stesso nel resto della penisola in chiave anti Psoe e anti Podemos. Da queste parti si dice infatti che il più grande sostenitore degli indipendentisti sia stato da sempre Mariano Rajoy che con ogni sua mossa li ha trasformati in martiri rafforzando il sentimento antispagnolo che purtroppo cova sempre di più anche tra le nuove generazioni.
Il problema è che questo ha comportato anche una radicalizzazione del movimento indipendentista, trasformandolo sempre di più in un movimento nazionalista a sua volta, con tutte le conseguenze del caso, compresa la nascita di frange violente al suo interno che fino ad ora non erano mai esistite. Pedro Sanchez ha quindi perso una grande grande occasione non solo per fare un governo progressista con Podemos, ma per aprire una vera fase costituente in una Spagna che, con il quarto voto in quattro anni, si trova ad affrontare la sua prima vera crisi di sistema dopo il franchismo.
Le manifestazioni di questi giorni nascono dalle recenti condanne inflitte ai leader politici delle forze indipendentiste, accusati di sedizione e malversazione per avere organizzato un referendum illegale ed avere unilateralmente dichiarato l’indipendenza. Non è mia abitudine giudicare le sentenze, meno che mai quelle di un altro sistema giudiziario, e non è mia intenzione farlo adesso. Ma è difficile non vedere come la rigorosa interpretazione della legge con condanne superiori ai 13 anni per i leader indipendentisti abbia però più il sapore di una ritorsione o almeno così è stata vissuta da parte della maggior parte della popolazione catalana.
Non è un caso se nelle proteste di questi giorni moltissimi non indipendentisti sono scesi in piazza in solidarietà con il movimento indipendentista. Adesso, se si vuole riaprire il dialogo ed evitare il peggio, serve una mossa da parte del Governo centrale. Non credo che alle istanze di un movimento che ha dimostrato di essere così radicato nella società si possa dare solo una risposta in termini repressivi. Se non si vuole che quelle che oggi sono piccole frange di violenti, a fronte di un grande movimento popolare e pacifico, prendano il sopravvento, si deve per forza riaprire un dialogo. Credo che l’indulto per i leader condannati sia la mossa giusta da fare per aprire un negoziato che può cambiare la storia della Spagna.
L’Europa ancora una volta resta attonita, muta davanti ad una questione che non può essere considerata solo una questione interna a uno degli Stati membri, ma una sfida da cui dipenderà il modo con cui sapremo fronteggiare il nazionalismo e aprire una nuova stagione per il processo di integrazione europeo. Abbiamo davanti a questa sfida una grande opportunità, la Catalogna non resterà un caso isolato.
La distanza sempre maggiore tra cittadini e luoghi decisionali sovranazionali sempre più tecnocratici da un lato e il nazionalismo dall’altro spingeranno sempre di più legittime rivendicazioni di maggiore democrazia e autogoverno dei popoli verso pulsioni identitarie e separatiste. Varrà per le regioni come per gli Stati e noi abbiamo il dovere di governare questi processi con la politica e non la forza. Il federalismo è l’unico orizzonte capace di garantire oggi per l’Europa democrazia e stabilità. Dovremmo avere il coraggio di discuterne seriamente prima che sia troppo tardi.