Cronaca

Sinodo, sull’Amazzonia non sarà difficile trovare la linea. È il celibato sacerdotale a dividere

Il Sinodo sull’Amazzonia entra nella settimana decisiva. Tra un pugno di giorni sapremo chi ha vinto e chi ha perso. Nello sforzo di papa Francesco di rimodellare la Chiesa e renderla capace di interloquire con il mondo contemporaneo, i sinodi hanno acquisito un’importanza speciale. Mentre le encicliche e i documenti papali sono espressione diretta della linea Bergoglio, i sinodi, al pari dei concili, rappresentano un modello parlamentare. Si dibatte, si redigono documenti, si propongono emendamenti e alla fine si vota. E alla conta si vede chi ha vinto e chi ha perso.

I due sinodi sulla famiglia mostrarono plasticamente che la tesi del cardinale Walter Kasper (appoggiata da Francesco) di ammettere alla comunione i divorziati risposati dopo un cammino penitenziale, non raggiunse il consenso necessario dei vescovi votanti. Un risultato legato anche alla regola dei due terzi di voti indispensabili per adottare un documento. All’epoca – si parla del biennio 2014 e 2015 – emerse che il blocco duro dei conservatori insieme alla palude dei presuli timorosi di imboccare una via nuova riuscì a fermare l’adozione del nuovo principio.

Fu Francesco con il documento postsinodale Amoris laetitia a sbloccare la situazione con l’escamotage di una nota a pie’ pagina. A tutt’oggi non esiste un documento ufficiale della Chiesa cattolica che autorizzi la comunione ai divorziati risposati. E contemporaneamente i confessori di tutto il mondo sanno di avere l’appoggio di Roma se, valutando seriamente la situazione, distribuiscono l’eucaristia alle coppie sposate due volte.

È certamente un’acquisizione storica del papato di Francesco avere tolto di mezzo l’ossessione della gerarchia cattolica in tema di questioni sessuali. Non si parla più di pillola, rapporti prematrimoniali, divorzio e orientamento sessuale. Per il cattolicesimo è una liberazione. Questa volta, tuttavia, astuzie sottili non sono possibili. Consacrare preti uomini con moglie – perché questo è in gioco nel sinodo sull’Amazzonia – è per la Chiesa di rito latino una breccia spettacolare nella plurisecolare tradizione del celibato sacerdotale (tradizione non originaria, va ricordato, perché nei primi secoli del cristianesimo sono stati attivi vescovi sposati e figli di vescovi ammogliati a loro volta).

La narrazione ufficiale è che il sinodo abbraccia moltissimi altri temi. Sociali, ecologici, religiosi. È vero. Ma sulla tematica ecologica, sul rifiuto dello sfruttamento degli indigeni amazzonici e la tutela della loro cultura, sull’opposizione agli interessi predatori, minerari o agricoli, che minacciano l’Amazzonia, non sarà difficile trovare le parole giuste nel documento finale.

E anche su come conciliare la visione spirituale delle antiche tribù con i valori evangelici, valorizzando la religiosità tradizionale e inculturando il cristianesimo nel vissuto degli indigeni, arrivando forse a definire anche particolari forme di “rito amazzonico” (così come storicamente la Chiesa accettò riti di tradizione orientale), si potrà trovare alla fine una formulazione finale che soddisfacente per i due terzi dei votanti.

Ma sul punto scottante dell’ordinazione sacerdotale di viri probati (uomini ammogliati di provata fede e moralità) conterà ogni singolo voto. Una larga maggioranza di intervenuti, si racconta dietro le quinte, è intervenuta a favore dell’innovazione. Perché non è possibile che il 70% delle comunità ecclesiale amazzoniche vedano un prete soltanto una o due volte l’anno. Perché è inaccettabile che non possano assistere alla celebrazione dell’eucaristia a Pasqua, Natale o Pentecoste: nutrendosi solamente di ostie consacrate in anticipo e mandate avventurosamente nelle parrocchie.

Ostie findus le chiamarono certi vescovi confidenzialmente già in sinodi passati. Perché, infine, l’espansione dei gruppi pentecostali prosegue impetuosa. I favorevoli a ordinare uomini sposati, calcolano i più ottimisti, sono tra il 55 e il 60% dell’assemblea. Una novità importante. Ma nelle votazioni bisogna superare quota 66%. E sarà decisiva anche la formulazione del testo. Si “chiederà” al papa di introdurre l’innovazione? La si definirà “necessaria”? Si proporrà una “dispensa” sperimentale? Ci si limiterà a proporre di studiarla?

L’esito dei gruppi di lavoro, riunitisi la settimana scorsa, offre qualche indicazione sull’equilibrio delle forze in aula. Su dodici gruppi (i cosiddetti circuli minores costituiti per aree linguistiche) ben cinque si sono detti a favore dell’innovazione. Sono i gruppi Italiano A, Portoghese A e B, Spagnolo C e D.

A questo blocco va aggiunto il gruppo di lavoro Spagnolo B che chiede al pontefice di “conferire il sacerdozio a uomini sposati per l’Amazzonia, in modo eccezionale, secondo circostanze specifiche e per alcune etnie determinate, stabilendo chiaramente le ragioni che lo giustificano”. E’ un Sì condizionato, ma è un . Anche perché il gruppo aggiunge che in nessun modo deve trattarsi di un sacerdozio di “seconda categoria”.

Dunque metà dei gruppi di lavoro del sinodo spinge per questa rivoluzione: uomini sposati sull’altare a celebrare l’eucaristia. Altri due gruppi, Portoghese C e D, chiedono ulteriori approfondimenti. Contrari i vescovi dei gruppi Italiano B, Spagnolo A ed E e il bilingue Inglese-Francese. Già ora si può considerare una novità clamorosa, impensabile nei pontificati precedenti, il fatto che documenti ufficiali di un sinodo – benché intermedi e limitati – mettano nero sua bianco la richiesta del sacerdozio sposato. E c’è un’altra grossa novità ancora: alcuni gruppi hanno chiesto ufficialmente che in maniera del tutto egualitaria le donne possano accedere al diaconato permanente.

La parola passa adesso al comitato di redazione del documento finale. Ogni virgola avrà il suo peso. Tra pochi giorni l’assemblea sinodale va in votazione. Le conclusioni saranno un test cruciale per il pontificato di Francesco.