Un intervento delicato reso necessario dal degrado visibilmente accumulatosi nel tempo sui resti del Dc-9 custoditi nel Museo d'arte moderna di Bologna
“Non si vedevano più nemmeno le scritte della compagnia Itavia, ora la vernice rossa ha ripreso un po’ di lucentezza”. Sono soddisfatti gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, che hanno ripulito e mappato il relitto dell’aereo Dc-9 precipitato il 27 giugno 1980 nel Mar Tirreno, al largo dell’isola di Ustica. Lo dicono con il rispetto di chi sa di aver lavorato su un pezzo di storia, quello di una notte di guerra aerea costata la vita a 81 persone civili, su cui, tra menzogne e insabbiamenti, ancora non è stata fatta piena luce.
E soddisfatta è anche Daria Bonfietti, fondatrice e presidente dell’Associazione Parenti delle vittime della strage di Ustica, che ha promosso l’accordo tra l’Accademia e l’Istituzione Bologna Musei per la manutenzione del velivolo, ospitato dal 2007 nel Museo per la memoria della strage, nel capoluogo emiliano: “Una cosa bellissima, il momento più alto del nostro rapporto con le scuole”, racconta al Fattoquotidiano.it. Indossato il camice bianco, i ragazzi, stracci e pennelli alla mano, hanno spolverato e lucidato i resti dell’aereo abbattuto da un missile.
Un intervento delicato, reso necessario dal degrado visibilmente accumulatosi nel tempo. Dopo l’inabissamento a 3.700 metri di profondità, infatti, il Dc-9 era stato ripescato a più riprese tra il 1987 e il 1992, per essere ricomposto in un hangar militare dell’aeroporto di Pratica di Mare, dove è rimasto fino al 2006, prima di tornare a Bologna: da lì era partito, direzione Palermo, il volo di linea la sera dell’incidente, in cui morirono tutti i passeggeri e i componenti dell’equipaggio.
Quella completata da 15 studenti del terzo anno è la seconda tranche di lavori, durata due settimane e mezzo, che ha riguardato la parte sinistra dell’aereo; nel 2018 altri 15 studenti avevano spolverato e monitorato quella destra. “Per togliere la polvere abbiamo dovuto limitare l’uso di aspiratori, altrimenti molti pezzi si sarebbero staccati – spiega la docente Lucia Vanghi, che, come i colleghi Carlotta Zanasi e Andrea Vigna, ha lavorato insieme agli studenti -. Nel metallo c’è ancora molto sale, quindi abbiamo operato essenzialmente a secco, utilizzando strumenti come panni antistatici e gomma in lattice vulcanizzato”. Il lavoro, svolto a museo aperto, ha riguardato anche le centinaia di cartellini cartacei che contengono le annotazioni su ogni pezzo del velivolo, accuratamente fotografati e mappati digitalmente.
Il museo di via Saliceto, inaugurato il 27 giugno 2007 alla presenza dell’artista francese Christian Boltanski, è a tutti gli effetti un’installazione di arte contemporanea con al centro l’aereo Itavia, in custodia giudiziaria al Comune di Bologna, che ne ha affidato la gestione al Mambo (Museo d’arte moderna di Bologna). Il cantiere-scuola che ha coinvolto gli studenti di Belle Arti nasce da una convenzione quadro firmata nel 2016 e rinnovata nel 2019. “Un’esperienza formativa che ha anche un significato simbolico, quello di restaurare la memoria di una pagina tragica della nostra storia – commenta il professor Alfonso Panzetta, coordinatore del corso di Restauro all’Accademia di Belle Arti, che ora auspica una manutenzione programmata ogni anno -. Per i ragazzi, che sono nati diversi anni dopo l’incidente, è stata anche un’occasione per prendere coscienza di quanto avvenuto e, nel separare le emozioni dal compito loro assegnato, hanno dimostrato grande professionalità”.
Nel museo 81 specchi e altrettante lampadine ricordano le vittime, mentre degli altoparlanti trasmettono le loro voci durante il volo. Frasi di vita comune, come “Ah, devo rifare l’esame!”, che fanno venire i brividi, come racconta Ilaria Rossi, studentessa triestina: “È stato molto toccante lavorare in questo contesto, così come vedere i cassoni neri all’interno dei quali sono sigillati i beni personali delle vittime”. “Prima dell’apertura del cantiere sapevo solo che la strage di Ustica era stato un incidente aereo, ma non conoscevo la dinamica e le tensioni internazionali che c’erano dietro -, racconta la padovana Ginevra Marchetti, che esprime uno stato d’animo condiviso da molti compagni -. Di fronte a quel relitto ci sentivamo in soggezione ma poi, studiando la vicenda, abbiamo tratto stimoli per far bene e ci siamo sentiti utili”.
Durante i lavori, infatti, gli studenti hanno avuto modo di approfondire la vicenda storica, vedendo lo spettacolo di Marco Paolini, il film Il muro di gomma di Marco Risi e spezzoni di tg dell’epoca, come raccontano Beatrice Facchini e Beatrice Marseglia, entrambe bolognesi, che provano sgomento per i tentativi di insabbiare la verità.
E proprio su questo torna Daria Bonfietti, a cui si deve un instancabile lavoro per far emergere la verità, “quella che ho dovuto conquistare con le perizie, andando a cercarla in fondo al mare”. “Quella notte – continua – si è deciso di nascondere ciò che era successo, ovvero l’abbattimento di un aereo civile nel tentativo di uccidere l’allora presidente libico Muammar Gheddafi, inventandosi la scusa del cedimento strutturale, che ubbidientemente abbiamo diffuso per buona”. Le indagini, riaperte dopo le dichiarazioni del 2007 di Francesco Cossiga, premier ai tempi della strage – che ha accusato apertamente la Francia – ancora non hanno svelato gli autori. “Come sia precipitato il Dc-9 è ormai accertato e sarebbe il caso che il governo italiano chiedesse definitivamente a chi è stato, americani o francesi che siano, di assumersene la responsabilità. Questa vicenda – conclude la presidente dell’associazione – deve continuare a essere ricordata e per questo abbiamo pensato al linguaggio dell’arte”.