Il Documento programmatico inviato a Bruxelles prevede che chi spende più di 20mila euro per personale o beni strumentali e chi, in parallelo al lavoro autonomo, ha uno stipendio da dipendente superiore ai 30mila euro non potrà più optare per la tassazione agevolata. In più arriva il “regime analitico per la determinazione del reddito” al posto dell'imponibile calcolato a forfait: occorrerà quindi fornire puntuale documentazione di tutte le uscite registrate in 12 mesi
È la quarta riforma del regime fiscale per le partite Iva nel giro di cinque anni. Un’altra modifica a un sistema, quello in vigore per professionisti e lavoratori autonomi, gravato già da un groviglio di regole e paletti burocratici. Il Documento programmatico di bilancio inviato alla Commissione Ue dal governo elimina l’estensione della flat tax a chi fattura più di 65mila euro all’anno e prevede l’introduzione di norme più stringenti per il regime dei forfettari e un nuovo calcolo dell’imponibile. Per gli addetti ai lavori è un passo indietro. “Questi cambiamenti così repentini sono estremamente dannosi perché aumentano l’incertezza fiscale e la burocrazia”, commenta a Ilfattoquotidiano.it Marco Allena, professore associato di diritto tributario alla facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Piacenza. Al tempo stesso “la flat tax salviniana è un disastro legislativo e ha delle storture molto evidenti, come la differenza di tassazione fra un autonomo e un dipendente“, fa notare Carlo Garbarino, docente alla Bocconi di Milano. “Per cui l’introduzione di certi correttivi è senz’altro necessaria. Peccato per l’ennesima complicazione del sistema, che va in direzione opposta rispetto a quella intrapresa già da anni da altri Paesi europei”.
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Che cosa prevede la manovra? Da una parte cancella un pezzo della flat tax approvata dal Conte 1 – proposta da Salvini e rivendicata dal capo del governo -: si tratta dell’aliquota al 20 per cento per i redditi fra 65 e 100mila euro che sarebbe dovuta scattare dal prossimo anno. Il secondo, invece, mette le mani sul cosiddetto regime dei forfettari, cioè quello che si applica a chi fattura meno di 65mila euro e oggi può optare per l’aliquota unica al 15 per cento. La novità è che chi spende più di 20mila euro per personale o beni strumentali e chi, in parallelo al lavoro autonomo, ha uno stipendio da dipendente superiore ai 30mila euro non potrà più optare per la tassazione agevolata. Poi sono previsti dei generici benefici per chi aderirà alla fatturazione elettronica (finora non obbligatoria per questa categoria di autonomi) e in ultimo l’introduzione del “regime analitico per la determinazione del reddito”.
Cosa significa? Che se ad oggi le piccole partite Iva determinano l’imponibile “a forfait”, cioè in base a determinate percentuali che variano a seconda dell’attività svolta, dal 2020 per il calcolo dell’imponibile verrà considerata la differenza fra i ricavi e le spese reali sostenute nell’arco di un anno. Una misura che suona quasi come una retromarcia verso il “regime dei minimi” in vigore fino al 2015 e che potrebbe comportare ulteriori difficoltà burocratiche. Ad esempio nel fornire una puntuale documentazione di tutte le uscite registrate in 12 mesi. Dal canto suo il ministero dell’Economia spera di ottenere, grazie a questi provvedimenti, un extra gettito di 250 milioni per il 2020 e di quasi 2 miliardi per il 2021, per poi stabilizzarsi a 1,4 miliardi a partire dal 2022. Numeri forse indispensabili per trovare la quadra della legge di Bilancio, anche se le prossime ore potrebbero essere decisive per un parziale passo indietro da parte della maggioranza.
Gli esperti al Fatto.it: “Lesa la certezza del diritto”. “Bene i correttivi alle storture introdotte dalla Lega”.
“A prescindere dalle opinioni politiche di ciascuno, va detto che la flat tax – guardando anche ad altri Paesi – ha la sua ragionevolezza”, spiega al Fatto.it l’esperto di diritto tributario Allena. “Ad esempio per aver semplificato le regole per un’intera categoria di lavoratori e in generale per i giovani. È comprensibile la volontà politica di non estendere la tassa piatta anche alle partite Iva sopra una certa soglia in un’ottica di progressività del fisco, ma ormai si era creata una legittima aspettativa da parte dei contribuenti”, aggiunge il docente. È per questo che “le modifiche andrebbero fatte con più gradualità, senza ledere il patto di fiducia fra Stato e cittadini”. A suo parere, infatti, i continui cambiamenti normativi non fanno altro che nuocere alla certezza del diritto, creando maggiori spazi di evasione fiscale. “Ed è proprio l’evasione il vero problema del Paese. D’altronde sappiamo bene che più il sistema è complicato, più aumenta la spinta a rigettarlo”, chiarisce. In questo senso, la reintroduzione del calcolo analitico dell’imponibile potrebbe peggiorare le cose, gli fa eco Carlo Garbarino, docente alla Bocconi di Milano. “È un metodo adatto soprattutto per i grandi imprenditori, visto che sostengono spese ingenti per la propria attività e alla fine dell’anno potrebbero pagare meno. Mentre per i piccoli significa semplicemente aumentare il carico fiscale”. Ma alcuni punti delle norme volute dal governo giallorosso sono positive, sottolinea Garbarino: “Per come la vedo io la flat tax salviniana è un disastro legislativo e ha delle storture molto evidenti, come la differenza di tassazione fra un autonomo e un dipendente. Per cui l’introduzione di certi correttivi è senz’altro necessaria. Peccato per l’ennesima complicazione del sistema, che va in direzione opposta rispetto a quella intrapresa già da anni da altri Paesi europei”.